Con lo scontro nella maggioranza sulla prescrizione, la questione giustizia torna all’ordine del giorno nel dibattito politico. Ed è giusto che sia così. Non è questione di aridi tecnicismi, ma di offesa o difesa di diritti fondamentali, sanciti in Costituzione e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

C’e da meravigliarsi che il nostro, sempre ridens, ministro della giustizia non abbia utilizzato per questa riforma quella formula tanto «elegante» già riservata alla disciplina della corruzione, che avrebbe potuto contrassegnarsi come «spazzaprescrizione». Dal momento che, almeno per una parte dei processi, non viene introdotta una mera sospensione della prescrizione come, molto erroneamente, è scritto nel testo proposto per il nuovo articolo 159 comma secondo del codice penale, ma si tratta evidentemente della fissazione del termine finale della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Se si fosse trattato di una sospensione, com’è ben noto agli studenti di giurisprudenza, sarebbe stato consequenziale che il corso della prescrizione, prima o poi, potesse riprendere. Ma non è così, in realtà siamo di fronte ad un vero e proprio blocco della prescrizione.

Bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche in rapporto a imputati assolti con formula piena, significa calpestare elementari garanzie, senza produrre peraltro alcun effetto positivo in termini di efficienza della giustizia penale.
La prescrizione del reato, lungi dal costituire un mero espediente difensivo o un cavillo formalistico, rappresenta un istituto dal nitido fondamento costituzionale. Innanzitutto sul piano della funzione della pena, da intendersi in termini di prevenzione generale e speciale positiva: perché con il passare del tempo il fatto cade progressivamente nell’oblio ed anche il suo autore non rimane lo stesso. Solo in una prospettiva giustizialista, ciecamente vendicativa, si può pensare ad un processo di durata potenzialmente interminabile.

Va anche posto nel debito rilievo che, quanto più il fatto oggetto di imputazione diventa lontano nel tempo, tanto più difficile diviene per l’imputato esercitare il diritto di difesa, costituzionalmente sancito. Ed ancora, non si può pensare di assoggettare per un tempo infinito l’imputato alla sofferenza insita nel processo. La ragionevole durata del processo, costituzionalmente sancita, è anzitutto garanzia di libertà e dignità della persona accusata.

E allora, stabilire che il reato non possa più prescriversi dopo il primo grado di giudizio vuol dire far sì che il processo continui per anni e anni, nonostante il venir meno di esigenze di prevenzione e a costo di prolungare considerevolmente la sofferenza dell’imputato, al quale viene indebitamente addossato l’intero peso della lentezza della giustizia penale. A ciò si aggiunga che anche le ragioni della vittima risultano ingiustamente sacrificate in un processo sine die.
Ma, oltre a violare elementari garanzie della persona, la riforma risulta deleteria sullo stesso piano dell’efficienza. Infatti, per un verso essa incide in misura ridotta sul fenomeno della prescrizione, che, come è noto, si realizza soprattutto nella fase delle indagini preliminari. E, per altro verso, tra le verosimili conseguenze della riforma vi sarà proprio un allungamento dei tempi della giustizia penale, visto il venir meno del rischio della prescrizione del reato. Con grave pregiudizio, ancora una volta, del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

In realtà sono altri i rimedi da mettere in campo per un miglioramento dell’efficienza del processo penale che non vada a detrimento dei diritti fondamentali della persona. Primo fra tutti, quello di una coraggiosa depenalizzazione, che libererebbe l’amministrazione della giustizia di carichi inutili ed insostenibili.

A questo punto si pone un problema politico: la sinistra si trova a dire la stessa cosa della destra. Ma questo non deve preoccupare, se una cosa è vera non diventa meno vera quando a dirla sono i nostri avversari. All’opportunismo della reticenza va, sempre, contrapposto il coraggio della verità.