Partecipo con piacere al dibattito sull’isocrazia lanciato da Ardeni e Bonaga. Gli spunti di riflessione sono molti e ciò che seguirà è frutto dell’imbarazzo nella scelta. L’attuale assetto capitalista gode di ottima salute e il Covid, al pari di una guerra, rappresenta una sua crisi ciclica. L’efficacia del capitalismo risiede nella sua capacità di morire e rinascere, ovvero contrarsi ed espandersi. La crisi della politica risiede invece nell’illusione che questa possa avanzare riproponendosi sempre uguale a sé stessa. Non sapendo morire o non accettando di farlo, la politica non saprà mai veramente rinascere interpretando le energie vecchie e nuove presenti nella società.

Ma cosa significa morire in ambito politico? Significa accettare che i problemi non si possono risolvere con la stessa mentalità ce li ha generati. Significa sentirsi piccoli, ovvero abbandonare l’idea che i progetti, per quanto virtuosi, possano servire a qualcosa, se non si è in grado di proporre e mantenere fede a un’idea di mondo su più scale, da quella locale a quella globale. Significa uccidere il proprio personaggio in favore della persona. In un mondo artefatto ricolmo di programmi elettorali, prodotti in vendita e slogan precotti, dimentichiamo la cosa di cui ci sarà sempre bisogno: umanità.

Le Sardine non hanno avuto successo perché erano un prodotto di marketing elettorale, e le persone lo intuivano. Lo hanno avuto perché le abbiamo rese inafferrabili (“Le sardine non esistono”). Lo hanno avuto, infine, perché non hanno mai fatto false promesse e ai consigli delle persone (“diventate un partito!”, “non diventate mai un partito!”, “capitalizzate il consenso!”) abbiamo sempre risposto con un invito: partecipate! Partecipare a cosa? A una festa della fratellanza e della democrazia da celebrare ogni giorno. Un giornalista della Bbc un giorno mi ha chiesto: “Ci sono echi di un passato fascista oggi in Italia?”. A Roma fui felice di poter rispondere “la bellezza sta nel fatto che abbiamo risposto in tempo. Abbiamo organizzato una miriade di eventi perché le persone potessero parteciparvi senza doversi svegliare un giorno in un mondo orribile ponendosi la domanda: dove sono stato fino ad oggi?”.

La resistenza all’abbrutimento è una ragione sufficiente per partecipare alla vita pubblica, ognuno come può. In questo senso trovo appropriata la terza declinazione della parola “partecipazione” proposta da Ardeni e Bonaga: “Prendere una parte di mondo trasformandola in proporzione alla propria potenza”. Se questo è isocrazia, io ci sto e mi sa tanto di approccio libertario.  Essere libertari non richiede solo organizzazione, ma anche e soprattutto responsabilità. Chissà che questo insegnamento dantesco che lega libertà e responsabilità non possa essere finalmente fatto proprio dal popolo italiano nell’anno che del Poeta celebra i settecento anni dalla morte. La celebrazione della morte di un grande pensatore per la rinascita del suo popolo.

Qualunque proposta potrà realizzarsi solo se le persone identificheranno un obiettivo e investiranno tempo ed energie per perseguirlo. Un esempio? In piccolo, per chi non li conoscesse, gli Orti Popolari a Bologna. In sintesi: terreni incolti ora trasformati in 40 orti lavorati da 80 volontari che destinano metà del loro raccolto alle Cucine Popolari che servono pasti ogni giorno a persone in difficoltà. Iniziativa su piccola scala riproducibile in grande. In mancanza di un obiettivo, l’isocrazia resterà una bella idea ma priva di potenza e la nave evocata da Ardeni e Bonaga una chiatta nella nebbia.

Molte voci del dibattito descrivono le Sardine al tramonto. E tutte le voci hanno un tono amarognolo. Questo tono rispecchia la paura della fine e impedisce di vivere la freschezza del nuovo. Unica eccezione è rappresentata da Bifo che rintraccia nella disperazione l’onestà richiesta dalla rinascita. Cercando nella linearità dei percorsi la risposta al bisogno politico latente nella società, tutte queste voci amare danno prova di attaccamento a schemi che hanno già mostrato tutti i loro limiti: i partiti, toccati dalla riflessione di Bersani.

Perché le Sardine non si sono dotate di un’organizzazione solida? Perché non era nelle intenzioni iniziali e l’onda che ci ha travolti è stata sproporzionata. Le abbiamo tenuto testa come abbiamo potuto. Preferiamo essere onesti e ribadire che le nostre iniziative sono servite a rendere manifesto un vuoto di rappresentanza, non a colmarlo.

Per colmarlo occorre studio, vocazione e organizzazione. In mancanza di uno qualsiasi di questi elementi non importa quanto consenso ci siamo lasciati alle spalle o di quante aspettative ci abbiano caricato gli opinionisti. A seguire i loro consigli le Sardine forse non sarebbero mai nate. E forse neanche morte. Si sarebbe esteso senza fine un tempo statico e dilatato, la vera crisi senza ritorno: quella dell’incompetenza, dell’inazione e della mancata lotta per superare tutto questo. Noi alla lotta abbiamo partecipato e partecipiamo, come possiamo, ogni giorno. Non ci vedete? Forse è utile ricordare la frase, sempre attuale, del movimento Occupy Wall Street: “Revolution will not be televised”.

L’autore è cofondatore delle 6000 Sardine