Ieri il premier russo Michail Mishustin è sbarcato a Minsk con ben tre aerei. Il seguito comprendeva mezzo governo e tutti i ministri di peso (finanze, energia, difesa e interni). L’obiettivo, preparare al meglio l’incontro tra Vladimir Putin e Alexander Lukashenko che dovrà tenersi a breve a Mosca dopo che lo Zar del Cremlino ha deciso il suo pieno sostegno al traballante omologo, investito ormai da un mese dalle mobilitazioni di un vasto movimento popolare democratico.

DOPO L’INCONTRO, il capo del governo russo, ha svelato i contorni del prossimo vertice moscovita: la ripresa dopo più di un anno di stand-by del processo di unificazione tra i due paesi. «Abbiamo compiuto progressi su molte questioni, compreso quello sul futuro “Stato dell’Unione”, che sarà basato su posizione assolutamente indipendente dei nostri Stati, ma con misure economiche adeguate, su cui concordiamo». Secondo Mishustin si sta discutendo della possibilità a breve di rimuovere ogni barriera al commercio, espandere la cooperazione nella cultura, nella sanità, nell’energia e nell’industria.

L’IDEA CHE CIRCOLA nei corridoi dell’edificio di Piazza Nezavisimost dove c’è la sede del governo, è quella di arrivare in tempi rapidi a una sorta di Commonwealth per poi giungere entro il 2023 alla completa unificazione.

Un’idea che Putin aveva già accarezzato ma che si era arenata di fronte al bizzoso presidente bielorusso che intendeva proseguire la politica dei due forni con l’Occidente. Una mossa, quella dell’unificazione, che dovrebbe blindare strategicamente Minsk a est ma che presenta molti rischi. Lukashenko non ha però molte carte da giocare: tra poco sarà pronta la centrale nucleare costruitagli da Rosatom – un contratto da 10 miliardi di dollari – che doveva fornire energia a Polonia e paesi baltici che hanno già fatto capire a questo punto di voler declinare l’offerta.

UN GUAIO PER LA BIELORUSSIA che non saprà a chi vendere elettricità ma anche per Mosca che rischia di non avere indietro nemmeno un dollaro del suo investimento. Il tutto in un contesto in cui la Russia rischia di avere nei prossimi anni un surplus di prodotti energetici visto che non più di dieci giorni fa la Turchia ha scoperto nei fondali del mar Nero dei giacimenti di gas e ha già fatto a capire a Gazprom di voler rinunciare di fatto a Turkish stream dal 2023.

La crisi bielorussa potrebbe essere inquinata anche dal ruolo delle formazioni paramilitari neofasciste ucraine. Nell’incontro di mercoledì con il suo omonimo bielorusso, Sergei Lavrov ha affermato che circa 200 estremisti di destra formati in campi ucraini opererebbero per destabilizzare la situazione in Bielorussia. Non sono state fornite prove ma l’interesse di NazKorp e di Pravy sektor a influenzare gli avvenimenti nel paese confinante c’è, anche se bisogna vedere se Zelensky glielo lascerà fare.

Dall’inizio della crisi, l’Ucraina ha assunto una posizione molto defilata: i rapporti commerciali tra i due paesi sono ottimi (Minsk ha sempre fornito clandestinamente petrolio russo a Kiev) e poi i due presidenti slavi hanno in Ankara un comune alleato. A tutte queste manovre geopolitiche non sembra interessato il movimento democratico che prepara per domenica a una nuova poderosa mobilitazione. In questa settimana, con l’apertura dell’anno scolastico, sono scesi in campo anche gli studenti medi e universitari. Molte le assemblee, i cortei spontanei e i picchetti. Purtroppo però queste iniziative sono state funestate dalle provocazioni dei reparti antisommossa che solo nella giornata di martedì hanno portato in cella 73 giovani.