«Ci vorrà tempo, sarà difficile, ci saranno intoppi. Ma nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi #italiariparte #lavoltabuona». Il presidente del consiglio esulta via twitter per il sì del senato alle riforme costituzionali. Ma a Palazzo Madama, dove pure negli scorsi giorni aveva pensato di andare nel giorno della sudatissima approvazione della riforma costituzionale, alla fine decide di non farsi vedere. Una scelta low profile, spiegano i suoi più stretti collaboratori, «per lasciare intera ai senatori l’importanza di questa giornata».

Del resto avrebbe dovuto solo fare «un saluto», come ha fatto la ministra Boschi. Parlando nel merito, avrebbe riaperto il dibattito. Con il rischio concreto di esporsi alle contestazioni se non alle manifestazioni pirotecniche dei 5 stelle. Eppure in questa decisione avrà contato qualcosa anche un certo cambio di clima: dai dati dell’Istat, attesi e tuttavia una doccia fredda, alle severe parole del presidente Bce Mario Draghi, l’economia viaggia con un segno negativo e sconsiglia esultanza per il primo passaggio, seppure cruciale, di una riforma che avrà tempi lunghi e solo indirette ripercussioni sulle condizioni materiali dei cittadini .
Renzi non fa trapelare malumori, anzi confidenze fiduciose e «senza paura». È soddisfatto per la chiusura dell’accordo su Alitalia, sul quale giovedì sera a palazzo Chigi si è lavorato fino a notte. Ieri ha incontrato la ministra Giannini per preparare quella che nella lettera ai parlamentari ha annunciato come una «radicale riflessione sulla scuola» da iniziare a fine agosto, poi ha pranzato con il ministro Padoan e infine ha rilasciato un’intervista al Financial Times.

Ma il suo augurio di buon Ferragosto arriverà domenica a San Rossore dov’è special guest della Route dei ’suoi’ scout, che ha preferito ai ciellini del meeting di Rimini. Gli scout gli consegneranno la loro ’Carta del coraggio’, un evento che per lui è una specie di invito a nozze.

Ma l’autunno non sarà una stagione facile. Palazzo Chigi riaprirà i battenti il 29 agosto per varare lo ’Sblocca Italia’, che poi approderà a Montecitorio. Il primo settembre parte la clessidra del programma dei «mille giorni». Il senato riapre i battenti il pomeriggio del 3 settembre per esaminare il ddl Madia sulla pubblica amministrazione, ma appena la commissione affari costituzionali avrà licenziato il testo, inizierà l’esame dell’Italicum. Forza Italia e i piccoli non hanno nessuna ansia di portare a casa la legge elettorale, che rappresenta una preziosa merce di scambio da centellinare e gestire con calma. «Nessuna fretta» ha infatti spiegato ieri il leghista Roberto Calderoli, dopo aver spiegato in aula che la Lega è pronta «alla pace come alla battaglia». E ancora in aula Gaetano Quagliariello ha avvertito che sulla legge elettorale l’Ncd condurrà «a viso aperto una battaglia di sistema, sulla quale auspichiamo la convergenza di tutte le forze interessate a costruire istituzioni che stiamo armonicamente in piedi. Perché a fronte di un Senato con elezione di secondo grado sarebbe intollerabile una Camera di nominati». Le preferenze e le soglie di ingresso delle forze politiche sono il nodo che l’incontro fra Renzi e Silvio Berlusconi non ha sciolto.

Ancora al senato, la camera più difficile per il presidente, presto sarà scongelato il disegno di legge delega sul lavoro, tenuto in freezer fin qui per evitare troppi fronti di fuoco. È il core business del jobs act, Renzi vuole portarlo a casa entro Natale, ma la sua discussione si annuncia difficile, con lo scontro fra Pd e resto della maggioranza sull’articolo 18 (di cui Sacconi e Ichino chiedono l’abolizione). E quello fra governo e industriali sul contratto a tempo indeterminato e tutele crescenti, fiore all’occhiello del Renzi della prima ora. «Non ce n’è bisogno», ha sentenziato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. D’accordo con Squinzi l’Ncd e Forza Italia. Ma non il Pd, che non può ingoiare una pillola così amara. «Devono essere chiarite le norme ambigue sia sul contratto che sul salario minimo. Devono essere indicate le disponibilità finanziarie per la riforma degli ammortizzatori sociali», spiega l’ex viceministro Stefano Fassina indicando così la linea del piave interna al Pd. Il vero rischio, conclude, è che «Renzi porti a Bruxelles, come merce di scambio, il sacrificio l’articolo 18 e lo svuotamento del contratto nazionale. Ma poi non si faccia altro per mancanza di risorse».

A Montecitorio le cose non andranno meglio. Da qui partirà fra a fine settembre la nota aggiuntiva al Def e la legge di stabilità, ovvero la quadra impossibile fra non aumentare le tasse e trovare i soldi che servono. Ma nel frattempo sempre qui sarà discussa la riforma del senato. Alla camera i voti per Renzi certo non mancano. Ma i deputati non accetteranno la parte dei notai del lavoro dei colleghi senatori.