Dentro una ombrosa cripta, al centro di Firenze, si sono arenati un titanico scheletro di capodoglio e uno squalo tigre, che incute rispetto per la sua stazza. Provengono da abissi lontani, che contano duecento anni di vita. D’improvviso, un vorticoso affastellarsi di ricordi comincia a riempire quella stanza segreta del museo Marino Marini che li ospita a Firenze: dal gigante letterario impersonato dal «corpo bianco» di Moby Dick al cetaceo spiaggiato presso l’Arsenale di Venezia (opera del francese Loris Gréaud) fino al predatore in formaldeide di Damien Hirst, la carcassa bestiale più pagata della storia dell’arte. Il primo esemplare, l’artista lo comprò per 6000 dollari da un pescatore; deterioratosi, ne dovette acquistare altri per riuscire a comporre la «scultura» sull’impossibilità di concepire la morte da vivi. Poi, il suo squalo fu venduto nel 2004 per 12 milioni di dollari.
Fino al 30 settembre, il programma espositivo del museo fiorentino proporrà due reperti di «storia naturale» della Specola, nell’installazione Di squali e di balene, che incarna il progetto curato da Fausto Barbagli, facendo dialogare insieme passato e presente. Il Marini, nato nell’ex chiesa di san Pancrazio, è uno dei pochi spazi del contemporaneo in città e, come si augura la sua presidente Patrizia Asproni, dopo la pandemia si candiderà a interpretare i rivolgimenti epocali «con una coscienza rinnovata attraverso il potente linguaggio dell’arte».

In che modo si è generata l’idea di una «relazione» tra un museo come il Marino Marini dedito all’arte contemporanea e La Specola, scrigno del mondo naturale che attraversa i secoli?
La collaborazione tra queste due istituzioni nasce come opportunità per proporre un approccio finalmente multidisciplinare e privo di barriere, in vista di una riflessione più ampia sul futuro. Sono convinta che oggi i musei non possano più limitarsi a conservare e a esporre il pur prezioso patrimonio culturale di cui sono custodi, ma debbano necessariamente convertirsi in propulsori di conoscenza, offrendo ai visitatori un punto di vista diverso e contribuendo a costruire la coscienza civica e sociale della collettività. In tal senso, è fondamentale favorire il confronto tra settori differenti. La collaborazione con La Specola si inserisce in questa cornice. Tra l’altro, questa prestigiosa istituzione fiorentina, al momento, è chiusa al pubblico: allora perché non mettere in comune competenze, beni e conoscenze, per rendere di nuovo fruibile un patrimonio altrimenti non accessibile e trasformarlo, attraverso la rielaborazione concettuale dell’arte e della scienza insieme, dell’umanesimo e della natura, del contemporaneo e dell’antico, in un invito a ragionare sul futuro che stiamo preparando?

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Con il lockdown alle spalle, diviene necessario che ogni museo, con la riapertura, preveda iniziative inedite per avvicinare un nuovo pubblico, che sarà certamente meno internazionale. Cosa ne pensa?
La riapertura dei musei è senza dubbio un aspetto fondamentale della ripartenza. La cultura ci ha accompagnato nel momento più difficile della pandemia e ora costituisce un pilastro per la ripresa. Dobbiamo far tesoro di quanto vissuto. L’emergenza sanitaria ha imposto una riflessione sui tempi e sulle modalità di consumo – talvolta sfrenato – a cui eravamo abituati, non solo in ambito culturale, ma anche in senso più ampio. Penso allo sfruttamento delle risorse naturali o ai danni che l’uomo arreca all’ambiente. Credo che il museo abbia il compito di farsi interprete di tali riflessioni e proporre soluzioni alternative. Qualcosa già sta cambiando. Pensiamo solo a come il contingentamento degli ingressi o le numerose misure di sicurezza stanno trasformando la visita ai luoghi culturali in un’esperienza meno usurante, più contemplativa e più profonda. Dovremo proporre nuove modalità di coinvolgimento del pubblico: il visitatore potrà essere parte integrante dell’esperienza culturale. Inoltre, la flessione registrata sul numero di turisti internazionali impone una maggiore attenzione ai visitatori locali. Ma per chi, come noi al museo Marini, aveva già imbastito un forte rapporto con la comunità di riferimento, si tratta di consolidare questa impostazione. E lo abbiamo fatto, ad esempio, con un intenso programma di eventi collaterali e modificando gli orari di apertura con inedite visite serali e la giornata di domenica dedicata soprattutto alle famiglie.

«Ecosistemi culturali» ed «ecosistemi naturali»: questo binomio può rappresentare una nuova strada percorribile per le istituzioni museali?
Certamente lo è, e deve diventarlo sempre di più, superando la tradizionale dicotomia tra arte e scienza, mettendo a fattor comune le peculiarità del sapere umanistico e di quello scientifico. Mai come in questo secolo si sta recuperando quel senso di unitarietà fra le discipline, creando «ecosistemi» culturali necessari a fronteggiare i rapidi mutamenti degli scenari globali. Le alterazioni della biodiversità si stanno evolvendo per il cambiamento climatico, lo squilibrio causato dall’azione umana spazia dall’estinzione delle specie animali ai virus di cui stiamo oggi vedendo gli effetti sull’umanità. Solo un ripensamento dei valori e una radicale ristrutturazione delle forme di riproduzione sociale e umana possono consentire un domani meno devastante. Tutto questo ha portato negli ultimi tempi a una profonda elaborazione in campo artistico, dando vita a un forte attivismo. Le tematiche legate alla salvaguardia del patrimonio culturale e del patrimonio/pianeta sono diventate fronte di battaglia comune, con gli artisti che denunciano l’irresponsabilità umana, sublimando la natura nelle loro opere. Il museo può trasformarsi in un leader di questo movimento verso la sostenibilità e, in quanto istituzione educativa, diffondere conoscenza al fine di sensibilizzare il pubblico su tali argomenti.

 

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Fausto Barbagli, curatore della mostra

Fausto Barbagli, che ha curato il progetto al Marini facendo migrare i due reperti-animali dalla Specola, è il presidente dell’Associazione nazionale musei scientifici ed è convinto che, nell’immaginario collettivo, squalo e balena risveglino i «concetti di vita e di morte, potenza e vulnerabilità». «Queste due creature – spiega – con la loro silenziosa e imponente presenza nella solenne atmosfera della cripa del museo, ci invitano ad aprire la mente».

È per questo, allora, che sono stati scelti – fra tutti gli animali – proprio uno squalo e un capodoglio, simbolici giganti degli abissi, spesso predati dall’uomo in modo indiscriminato?
Si tratta di due reperti iconici che richiamano anche opere di celebri artisti contemporanei e, al contempo, ci invitano a ripensare il rapporto dell’uomo col pianeta, tra passato e futuro, tra estinzione e salvezza. Al di là dei ruoli incarnati nella cultura e nel mito, questi esseri sono emblemi di una biodiversità da proteggere e preservare, in un’era in cui l’impatto umano ha portato alla definizione di antropocene.

Crede che oggi, alla luce dei disastri ambientali di cui siamo protagonisti, un museo naturale debba modificare i suoi obiettivi? E cosa potrebbe trasmettere alle nuove generazioni?
I musei di storia naturale hanno percorso la strada di quel cambiamento ormai da molto tempo, orientando la loro azione alla documentazione e alla difesa della terra e della sua biodiversità. Inoltre, anche attraverso la promozione della cittadinanza attiva, sono protagonisti fondamentali della salvaguardia del pianeta. Alle nuove generazioni i musei è opportuno che trasmettano innanzitutto consapevolezza, aiutando a superare sensazioni e percezioni, elaborando idonee risposte comportamentali di fronte ai problemi e alle scelte dell’umanità.

La convivenza fra le specie e l’antispecismo come approccio filosofico all’esistenza sono temi poco trattati nell’educazione scolastica. Come si può ovviare, secondo lei, a questa lacuna?
Anche in questo campo, i musei rivestono già da tempo un ruolo fondamentale attraverso i loro servizi educativi che offrono la possibilità di integrare la didattica scolastica nello sviluppo dei soggetti specifici. Con la loro sensibilità per i temi della sostenibilità in campo ambientale, ma anche sociale, economico e culturale, i musei naturali permettono di sviluppare esperienze e relazioni che affiancano l’insegnamento e così possono contribuire, in maniera determinante, allo sviluppo e alla crescita delle nuove generazioni.