Record storico dei disoccupati dal 1977 quando i senza lavoro erano il 7% e l’Istat ha iniziato a redarre le serie storiche trimestrali. Per l’Istituto Nazionale di statistica oggi i senza lavoro sono il 13,6%.

Tra i giovani italiani tra i 15 e i 24 anni la quota dei senza lavoro sul totale di quelli occupati, o in cerca di un’attività remunerata, è aumentata al 46% ad aprile, 0,4 punti percentuali in più rispetto a marzo, +3,8% in un anno. Non va meglio l’analisi dei dati destagionalizzati e più aggiornati, forniti ieri dall’Istat: il tasso di disoccupazione tra i giovani under 25 ad aprile era al 43,3% I senza lavoro hanno toccato l’apice da 37 anni a questa parte nelle regioni meridionali. Su un campione di 685 mila persone, nel primo trimestre 2014 è stata superata la soglia choc del 60,9%. Per l’Istat sono 347mila i ragazzi in cerca di lavoro nel Sud, pari al 14,5% della popolazione nella stessa fascia d’età. Per capire la rilevanza, traumatica, di questo aumento incontrollato della disoccupazione da 11 trimestri consecutivi basta fare un confronto con i dati continentali. Secondo Eurostat il tasso dei giovani senza lavoro in Europa si è attestato al 23,5% in calo rispetto al 23,9% del 2013. Nell’Unione europea a 28 è al 22,5% contro il 23,6% dell’aprile precedente. La Grecia con il 56,9%, la Spagna con il 53,5% e la Croazia con il 49% precedono l’Italia. Li raggiungerà presto visto che la progressione dell’ultimo anno è stata imponente.

Sono questi gli effetti di un’economia in stagnazione che nel primo trimestre 2014 ha prodotto una crescita negativa dello 0,1% e nei prossimi anni non produrrà occupazione stabile. Il nuovo record che ha cancellato il timido segnale positivo emerso a marzo, dev’essere letto come un epifenomeno della jobless recovery, cioè della ripresa senza occupazione. Le vittime di questo processo sono i più giovani, e i meno protetti sul mercato del lavoro. La loro condizione non dev’essere misurata soltanto in base alle statistiche che calcolano il numero delle forze di lavoro, ma anche su due indicatori usati a livello europeo: i poveri al lavoro (in-work poors) e i lavoratori poveri (working poors). Oltre ai disoccupati, ci sono anche i giovani che svolgono lavori precari o informali, non hanno un reddito, e rientrano nella categoria dei «lavoratori potenziali». Per l’Istat nel 2013 il totale degli «inattivi» più vicini al mercato del lavoro è arrivato a 3.205 milioni con un incremento di 417 mila unità. Dagli ultimi dati si deduce che questa zona grigia tra il precariato, la povertà e l’inoccupazione sta dilagando.

Questo andamento è stato riscontrato dall’Istat anche nella disoccupazione generale. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 216 mila, è calato dello 0,4% rispetto a marzo (-14 mila) ma è schizzato del 4,5% su base annua (+138 mila). Il tasso di disoccupazione resta al 12,6%, invariato rispetto al mese precedente e in aumento di 0,6 punti percentuali nei dodici mesi. Parliamo del 13,6% sulla popolazione attiva. Nel primo trimestre del 2014 il numero dei senza lavoro ha raggiunto la quota 3 milioni 487mila (in aumento di 212mila su base annua) Secondo l’Eurostat l’Italia mantiene stabilmente il terzo posto in classifica in Europa dopo la Grecia con il 26,5% e la Spagna con il 25,1%. Austria (4,9%) e Germania (5,2%) confermano che il continente è diviso a metà e che le politiche di austerità hanno colpito a senso unico la cintura meridionale degli stati membri dell’Unione europea.

«Le indicazioni di aprile sono in linea con i dati di un’economia sostanzialmente stagnante da metà 2013 – conferma Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma – Le indicazioni trimestrali confermano alcuni segnali di sofferenza emersi nell’ultima recessione, in particolare la caduta occupazionale nel segmento del tempo pieno e indeterminato, dove si concentra la categoria dei breadwinner e il 59% dei disoccupati, di coloro che sono senza lavoro da oltre un anno».

Plastico il commento del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: «Stiamo strisciando sul fondo». E la pandemia peggiorerà quando il governo seguirà le «raccomandazioni» della Commissione Ue che lunedì ha «suggerito» di fare una manovra correttiva per rispettare i parametri del patto di stabilità. E se non sarà una manovra, nella legge di stabilità a fine anno arriveranno i tagli alla spesa sociale pari allo 0,2% del Pil. Qualcuno li ha calcolati in 9 miliardi di euro. All’orizzonte della legge delega, seconda parte del «Jobs Act» ora in parlamento, non c’è un reddito di base per tutelare precari e senza lavoro. C’è solo la «Nuova Aspi» che coinvolgerà tra anni poco più di 1,2 milioni di cassa integrati e cocopro. Come svuotare l’oceano con un cucchiaio.

Per il ministro del lavoro Giuliano Poletti i dati sono «figli di una crisi che abbiamo alle spalle ma che ha ancora una coda velenosa». Parole pronunciate da chi ha già escluso un impatto significativo sull’occupazione di una riforma che porta il suo nome, ideata per precarizzare i contratti a termine. Quella di Poletti è una seduta di auto-ipnosi, la crisi c’è, la crescita sarà più bassa dello 0,8% indicato dal governo nel Def e non produrrà nuova occupazione.