Cultura

Pratiche artistiche che abbracciano un’idea di comunità

Pratiche artistiche che abbracciano un’idea di comunitàRobert Smithson, Nonsite, 1969

Scaffale «L’arte in preda al possibile» di Serena Carbone, per gli Ori

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 agosto 2023

Con la strategia compositiva del ragno Serena Carbone in L’arte in preda al possibile. Pratiche di costruzione di comunità per Gli Ori (pp. 112, euro 16) connette pratiche artistiche lontane nel tempo e nello spazio, ma contigue nelle intenzioni di varcare le soglie del reale in senso trasformativo.

È UNA STORIA che ha origine nello spazio e trova nel concetto di Nonsite, teorizzata nel 1968 da uno dei pionieri della Land Art, Robert Smithson, le radici della dialettica di un fare arte dentro e fuori i luoghi deputati, un gioco che pone sempre un centro in relazione a un margine, sfidando la pratica artistica a un continuo riposizionamento rispetto al contesto. Il riferimento è a un’arte che non è qualcosa che accade in un luogo ma è essa stessa quel luogo, come sosteneva Michael Heizer, un’altra figura cardine della Land Art. Serena Carbone ne trae una lezione di politica e poetica dello spazio, che sembra essere viva nell’estetica formale di alcune pratiche di arte relazionale e partecipata dagli anni ’90 italiani.
Il libro descrive un’orbita ellittica intorno a due fuochi: un nucleo teorico in cui sono rintracciati i riferimenti di un discorso sullo spazio del possibile, e un’analisi dei casi studio raccolti nel panorama italiano. Sono numerosi, spesso situati in contesti decentrati, nati da iniziative spontanee e discorsive, ma tutti animati dal desiderio di attuare un metodo collaborativo, l’ingaggio della comunità e l’intreccio dei saperi. È un’analisi appassionata, lontana dai tempestosi entusiasmi, che riscopre un’idea di spazio che riesca a essere abitacolo di pratiche, popolato da relazioni umane, un campo d’azione, un «posto» in cui poter stare, lontano dalle categorie del mercato e dalla logica del turismo culturale.

È UN VOLUME CHE TESSE la fisionomia della possibilità con un’intenzione storica e sociologica, e l’appello al possibile ha lo scopo di ricondurre l’arte al reale, il pensato al vissuto. La trasformazione tracciata da Carbone, con un tributo a Henri Lefebvre, va intesa come produzione di soggettività, collettive e individuali, operanti nella sfera pubblica, attraverso una ricerca costante delle condizioni per una rivoluzione possibile.
Il libro mette in relazione le maglie di «un tessuto non ancora molto conosciuto, per niente valorizzato e per nulla omogeneo», come lo definisce la sua autrice, ma che è stato testimone di un’arte intesa come un modo speciale di pensare. Una visione in cui riecheggia il pensiero di Luisa Perlo, co-fondatrice del collettivo curatoriale torinese a.titolo, che aveva al suo centro la costruzione di comunità attraverso una pratica dell’arte che fosse calata nel contesto sociale e che agisse sempre nello spazio e con lo spazio.
L’arte in preda al possibile ci ricorda un modo di fare arte che si cala in un lavoro di ricostruzione di un tessuto connettivo, con esiti che sembrano insospettabili ma che sono quanto di più simile a un’utopia.

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