«Ci rivediamo a gennaio, probabilmente il 14». Per ora, nella partita del Colle, la destra riunita a casa Berlusconi ha una sola certezza, confermata con patto di sangue da tutti i presenti: candidato unico, tutti per uno. Quell’«uno» si chiamerà Berlusconi Silvio? Ufficialmente non è detto. Lo stesso diretto interessato, mentre si sparecchia la tavola, informa i cronisti: «Abbiamo parlato anche della mia eventuale candidatura. Ma abbiamo rimandato ogni decisione all’inizio del prossimo anno».

ALL’INDOMANI dell’affondo di Draghi i leader del centrodestra si incontrano a pranzo a villa Grande, residenza romana del non ancora candidato. Atmosfera natalizia, con una marea di posti a tavola. Non solo i tre pezzi da novanta, l’ospite, Giorgia Meloni, Salvini reduce da un colloquio mattutino con Draghi nel quale giura che non si è parlato di Colle. In realtà qualcosina i due si sono detti. Draghi avrebbero assicurato che la sua conferenza stampa del giorno prima non era una «autocandidatura».

CON I LEADER CI SONO un po’ tutti: Tajani, l’immancabile Ronzulli e Giacomoni in tuta azzurra, La Russa di scorta alla sorella d’Italia, i capi minori come Toti, Lupi, Cesa. Chiacchierata interlocutoria, come si dice in questi casi. Significa aver fatto il punto sul quadro sotto l’aspetto strategico ma anche aver messo mano al pallottoliere. E alla base dei ragionamenti politici ci sono proprio quelle palline, i numeri.

I SUDDETTI NUMERI dicono che la destra non ne ha a sufficienza per eleggere un suo presidente. Ci andrebbe più vicina, senza ancora centrare l’obiettivo, con Renzi e la pattuglia centrista, che però non viene contata. L’ex premier fiorentino fa il suo gioco. È vero che, con roboante intervista mattutina, ha smentito Draghi sostenendo che se a eleggere l’inquilino del Quirinale fosse una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo non ci sarebbe nulla di scandaloso o di talmente deflagrante da provocare la crisi. Ma non è sui suoi voti che si può contare. In compenso, convengono i convitati, quei magici numeretti non li ha neppure la sinistra: stavolta non c’è il caso che sia la controparte a scegliere il capo dello Stato. Dovranno trattare e ad aver la voce in capitolo più sonora sarà la destra.

NON SIGNIFICA che i tre generalissimi abbiano rinunciato al sogno più volte confessato di insediare un loro presidente. Dipende appunto dai numeri: il rinvio della scelta serve proprio a verificarli. In queste vacanze i telefoni saranno roventi. Se il calcolo autorizzerà l’azzardo il candidato sarà Silvio, che però non ha intenzione di farsi umiliare con una sonora sconfitta. Ci spera, ci crede e ci prova ma senza motivi validi per «metterci la faccia», una volta tanto non per modo di dire, preferirà restarsene in villa. Ma la destra si rende conto del fatto che una sua vittoria, tanto più se incoronasse il reprobo per eccellenza, significherebbe la crisi e le elezioni subito? Sì e, almeno ufficialmente, è pronta a pagare il prezzo. Quanto lo siano i suoi singoli parlamentari nel segreto dell’urna, lo si scoprirà, forse solo alla fine di gennaio.

SE IL RESPONSO della calcolatrice sarà ancora in rosso dopo le vacanze il signore d’Arcore farà un molto sofferto passo indietro. Senza Berlusconi in campo, o con Berlusconi sconfitto perché quali che siano i conti iniziali in questo parlamento di sicuro non può esserci niente, la palla passerà a Letta, Salvini e Conte. Senza la convergenza di tutti e tre questi leader una scelta in grado di tenere insieme la maggioranza ed evitare crisi ed elezioni nel momento meno indicato per il Paese sarà impossibile. Potrebbero convergere su Draghi, che nonostante la levata di scudi dei partiti è a tutt’oggi il nome più forte in campo? Per ora la destra intera mantiene il pollice verso. Berlusconi in particolare pare sia particolarmente irritato perché vive la candidatura di Draghi come una diretta sfida tra nonni, un affronto, e conoscendo l’uomo e la sua tendenza a confondere pubblico e privato, se non si riuscirà a rabbonirlo punterà i piedi e chissà che i chiarimenti di Draghi sulla sua «autocandidatura», con Salvini ma non solo con lui, non servano proprio a questo.

MA I GIOCHI SONO appena cominciati e per la prima volta bisognerà tenere conto di una variabile in più. Sinora l’elezione del capo dello Stato è sempre stata questione rigorosamente interna. La bocciatura di Mario Draghi o l’elezione di Silvio Berlusconi, invece, non resterebbero affatto senza conseguenze. All’estero e sui mercati.