Si concludono oggi, sabato 26 ottobre, le operazioni di voto per l’elezione della nuova Camera dei deputati della Repubblica Ceca. Dopo una campagna fulminante di un mese, dovuta alla conclusione anticipata della legislatura, il paesaggio politico ceco potrebbe cambiare radicalmente.

Il populismo imprenditoriale

Il fenomeno più vistoso di questa tornata elettorale è stata l’ascesa del magnate dell’industria chimica e della produzione agroalimentare Andrej Babis, che pochi mesi prima delle elezioni ha acquistato anche la casa editoriale Mafra e quindi due dei cinque più importanti quotidiani cechi. Il movimento Ano 2011, gestito dall’imprenditore, è attestato dai sondaggi tra il 17% e il 20%, e dovrebbe quindi arrivare secondo dietro ai socialdemocratici della Cssd, dati tra il 25% e il 28%.

Andrej Babis ha puntato tutta la sua campagna sulla contestazione dell’attuale classe politica ceca. «Noi non siamo dei politici, lavoriamo duro e diamo il lavoro alle persone», ama sottolineare Babis, i cui cavalli di battaglia sono la lotta alla corruzione, la de-politicizzazione dell’amministrazione pubblica e la crescita economica. Andrej Babis ha puntato ad occupare lo spazio creato nel centrodestra ceco, caduto in totale discredito dopo sette anni di governo e lo scandalo Nagyova, che ha colpito l’ex premier Petr Necas. «Babis ha creato di se stesso un’immagine del politico a-politico, del miliardario del popolo, che non sopporta più il casino, in cui versa lo stato e la società», sottolinea il politologo Jaroslav Fiala. «Credo che lo stato dovrebbe essere gestito come un’impresa famigliare», indica Babis la sua visione dell’amministrazione delle cose pubbliche.

Tuttavia Babis non è l’unica rappresentante del populismo imprenditoriale spuntato in questa tornata elettorale. Qualche chance di varcare la soglia del 5% ce l’ha anche il movimento Alba della democrazia diretta del senatore ceco-giapponese Tomio Okamura, noto per le sue attività di tour operator. Rispetto a Babis, Okamura ha preferito puntare sul razzismo sociale, profondamente radicato nella società ceca, proponendo la creazione di uno stato Rom, alimentando la campagna contro i cosiddetti abusi della rete di protezione sociale e ovviamente contro la corruzione dei politici.

La scomparsa della destra

Entrambi i fenomeni di populismo imprenditoriale si sono alimentati del clima di disaffezione, che ormai prevale nella società ceca, e nella scomparsa della destra tradizionale, spolpata dall’esperienza di governo. I due partiti dell’ex maggioranza, la Top 09 e l’Ods, non dovrebbero nel loro insieme raggiungere il 20%, mentre tre anni fa superavano di slancio il 35%.

La destra tradizionale è sembrata in difensiva per tutta la campagna, affermando sostanzialmente di voler mantenere lo status quo sociale ed economico. Così nell’ultima settimana prima delle elezioni è tornato in auge il vecchio e rodato anticomunismo, la cui espressione più spettacolare è stata rappresentata dal dito medio rivolto al Castello di Praga installato da David Cerny. «E’ un banale dito medio alzato contro quegli schifosi comunisti che stanno al Castello e al comportamento bolscevico di Zeman»: è il commento di Cerny alla sua opera. Inoltre la destra ha agitato la spauracchio delle «ingerenze della Russia» e ha puntato il dito contro il presidente Zeman, che viene visto come una manus longa di Putin e del gruppo Lukoil.

Condannati a vincere

Di fronte al collasso dei partiti di destra, il centrosinistra ceco sembra destinato a vincere. La Cssd infatti dovrebbe arrivare prima con un risultato comunque inferiore al 30%, mentre i comunisti della Kscm dovrebbero ottenere circa il 15% dei seggi. L’entrata di scena dei nuovi movimenti e i probabili cambi d’umore degli elettori all’ultimo minuto, potrebbe tuttavia affondare la maggioranza assoluta dei due partiti alla Camera, data per scontata soltanto alcune settimane fa. Il segretario della Cssd, Bohuslav Sobotka, che preferirebbe un governo monocolore con un appoggio esterno della Kscm, si troverà con ogni probabilità a gestire una situazione assai complessa. Malvisto dal Castello di Praga e dalla parte della Cssd fedele a Zeman, Sobotka potrebbe essere scalzato dal suo contendente alla guida del partito Michal Hasek, più vicino al presidente.

Niente di nuovo sul fronte comunista. I comunisti della Kscm hanno proposto anche quest’anno il tradizionale mix tra nostalgia del passato e antipolitica nel presente. I comunisti sono riusciti a sopravvivere in gran forma elettorale, sia raccogliendo i consensi di coloro che ritengono che prima del 1989 si stesse meglio, sia proponendo una critica tecnocratica all’attuale classe politica, giudicata inadatta a reggere le sorti del Paese. «Per quanto riguarda l’Imposta sul reddito delle persone giuridiche, per i profitti più alti prevediamo un aliquota maggiorata al 25%, che vogliamo introdurre con gradualità per non mettere in difficoltà le imprese, perché non siamo dei dilettanti come l’ex ministro della Finanze Kalousek», illustra uno dei cavalli di battaglia del partito il suo segretario Vojtech Filip. Insomma, piangano anche i ricchi ma non troppo.

Paure vecchie e nuove

La campagna elettorale ceca è stata dominata dalle paure e dall’astio. Sul fronte della destra è stato agitato la paura del ritorno dei comunisti al potere, dell’espansionismo russo e della figura del presidente Zeman. A sinistra è prevalsa la paura della destra e ci si è accontentati ad affermare la propria presunta superiorità nell’etica e nelle competenze tecniche. Le nuove formazioni politiche sono state fucine di astio verso i politici, i socialmente deboli, i Rom e gli immigrati. Quasi del tutto assenti, temi come l’integrazione europea o la crisi economica che pure si è fatta sentire in maniera significativa. Insomma, la campagna elettorale ha mostrato un Paese capace di intendere soltanto le proprie paure, vecchie e nuove, del tutto autoreferenziali e indifferenti a ciò che accade in Europa e nel mondo.