Nonostante i dati Istat, Eurostat, Svimez, Censis, insieme a quelli di altri centri di ricerca e ong, fossero impietosi nel fotografare da diversi anni la condizione sociale in cui milioni di persone precipitavano, abbiamo assistito e assistiamo ad operazioni di illusionismo di vario tipo. La crisi non c’è, è finita, la povertà è fisiologica, la spesa sociale è il male del paese, il debito esplode per colpa della spesa pubblica, non abbiamo le risorse, le disuguaglianze si combattono con la governabilità, non ci possiamo più permettere certi diritti, la povertà è diminuita, prima cresciamo e poi “aiutiamo” i poveri, abbiamo svoltato. In questa opera di semplificazione e riduzione del problema c’è l’incapacità di una classe politica che ha fallito sull’analisi e sulle ricette messe in campo.

In tanti invece negli ultimi giorni davanti ai numeri dell’Istat si sono affannati a individuare la priorità sta nella lotta contro le disuguaglianze. Un cambio di linea? Macché, solo di comunicazione. Sono gli stessi che hanno in questi anni votato i tagli al welfare, il patto di stabilità, il fiscal compact ed ora il Ddl sulla povertà approvato in queste ore dal governo che stanzia poco più di 2 miliardi in tre anni per affrontare un problema che investe le vite di un terzo della popolazione e ne colpisce più di un quarto. Soprattutto il Ddl ignora le analisi del rapporto Istat sull’efficacia del nostro sistema di protezione sociale.

Il 20 maggio scorso alla camera dei deputati il presidente Alleva presentando il rapporto Istat 2016 ha infatti denunciato «un sistema di protezione sociale tra quelli europei meno efficace ed incapace di far fronte all’aumento di diseguaglianze e povertà». Nonostante la crescita economica l’Istat ci dice che le disuguaglianze continueranno a crescere. Perché? Semplice, il nostro sistema di protezione sociale è sottofinanziato ed inadeguato. L’Istat fa l’esempio di altri paesi europei che nonostante le politiche di austerità imposte dalla governance hanno garantito e finanziato sistemi di welfare in grado di evitare o contenere l’aumento della povertà.

Il Rapporto dimostra che si poteva e doveva fare decisamente molto di più per evitare il disastro sociale. Il problema non è certo di assenza di risorse, ma di priorità scelte dalla politica. Aver tagliato due terzi del Fondo nazionale per le politiche sociali e non aver introdotto una misura di sostegno al reddito, già attiva ovunque tranne che da noi ed in Grecia, ce l’ha chiesto l’Europa? Inserire il patto di stabilità in Costituzione e dover di conseguenza tagliare di 19 miliardi di trasferimenti ai Comuni ce l’ha chiesto l’Europa? L’austerità europea ci chiede un saldo contabile che poteva essere effettuato attingendo ad altre poste e senza cambiare l’articolo 81 della Costituzione. Sono le scelte fatte dalla politica e gli importi stanziati nel bilancio che valutiamo, non altro. Con il voto su questo Ddl il governo ha deciso definitivamente di abbandonare al proprio destino la stragrande maggioranza di chi è in povertà.

Le somme stanziate dal Fondo rispondono solo ad una piccolissima porzione di popolazione colpita. Lo chiamano “universalismo selettivo” ed è la cultura a cui dichiaratamente si ispira, fieramente, il governo. E qui arriviamo ad un altro snodo: la Repubblica ha l’obbligo di garantire la dignità della persona. Le politiche sociali, gli interventi redistributivi e pre-distributivi, sono elementi centrali della democrazia costituzionale per garantire uguaglianza di opportunità e quei diritti sociali che rendono concreta l’intangibilità della dignità umana. La Legge più importante del nostro paese ha già stabilito le priorità sulle quali modellare un’idea di sviluppo coerente con questi obiettivi attraverso i primi dodici articoli. Questo rende palesemente incostituzionale l’universalismo selettivo alla base delle scelte del governo. Prima vengono i diritti sociali per i poveri e poi gli 80 euro; prima bisogna garantire i servizi di base nelle città, sempre più diseguali, ed uno standard minimo di assistenza per tutti da nord a sud, che ancora manca, e poi la defiscalizzazione e bonus vari per miliardi di euro alle imprese; prima viene il sostegno al reddito per chi è sotto la soglia della dignità, così come previsto anche dall’art.34 della carta di Nizza, e poi gli interessi di banche e finanze; prima le risorse per garantire l’accoglienza e poi quelli per comprare le armi.

Il legislatore costituente ha deciso in questo senso non perché guidato da sentimentalismi ma perché convinto della necessità di eliminare povertà e disuguaglianze, riconosciute come virus mortali per la democrazia e per la prosperità di tutti, ricchi inclusi. Invece avviene il contrario e ci viene presentato come il massimo possibile o addirittura come un grande sforzo. Accettare questa narrazione significherebbe rinunciare ad un’idea di società fondata sulla dignità e la giustizia. Significa rimuovere dal nostro orizzonte la speranza. Per questo poco non è meglio di niente, quando ci sono alternative ed in gioco sono la dignità di milioni di persone, le finalità dello sviluppo ed il funzionamento della democrazia.

*Campagna Miseria Ladra, Libera/Gruppo Abele