Il migliaio di casi ufficiali di coronavirus sarebbero il minimo se non ci fossero, anche qui, gli allarmi sul rischio che la situazione sia in realtà più tragica di quanto sembri. La Somalia resta per tante ragioni uno dei paesi più tormentati del mondo, reduce da una lunga scia di sventure innescata dalla dominazione italiana e proseguita fino ai giorni nostri con una sequela di conflitti, carestie, appetiti esterni, ingovernabilità croniche che restituisce l’immagine di un luogo comune, più che di un paese.

Uno scenario che dà risalto alla “piaga” su cui prolifera al Shabaab, “la Gioventù”, organizzazione armata jihadista affiliata ad al Qaeda (salvo recente mini-scissione in direzione Isis), nata nel 2006 da una costola dell’Unione delle Corti islamiche, che all’epoca controllava il paese, nota per le stragi e gli attacchi suicidi più che per i rapimenti. Le cifre più prudenti parlano di oltre 4 mila morti provocati negli ultimi dieci anni solo tra la popolazione civile, ma sono stime variabili che non tengono conto delle vittime collaterali provocate, in particolare, dagli attacchi di droni statunitensi.

Eliminato nel 2014 il capo dell’organizzazione, Ahmed Abdi Godane (alias Mukhtar Abu Zubair), poi sostituito da Ahmed Umar, i falchi del comando Usa per l’Africa (Africom) hanno ottenuto da Trump l’ok per intensificare gli attacchi contro le postazioni degli al Shabaab, scacciati da Mogadiscio nel 2011 e dall’importante città-porto di Kisimayo l’anno seguente.

Dopo ogni raid, secondo una schema consolidato, un attentato. Poteva avvenire nel cuore di Mogadiscio, come quello che nell’ottobre del 2017 ha provocato 500 morti; o avere come bersaglio la base Usa di Baledogle, come lo scorso settembre, nelle stesse ore in cui a Mogadiscio una bomba esplodeva al passaggio di un convoglio militare italiani.

La resilienza di cui hanno dato prova i miliziani somali, la mobilità di cui sono ancora capaci nelle aree rurali del sud e del centro del paese e la capacità di rispondere in fretta ai rovesci militari, fanno di al Shabaab anche una scusa utile per tutte le circostanze. L’abbattimento lo scorso 4 maggio nei cieli della Somalia di un volo umanitario diretto a Bardale da parte dell’esercito etiope, sarebbe un ’“errore”, come ammesso da Addis Abeba, in quanto il velivolo è stato scambiato per un aereo kamikaze di al Shabaab. Non stupisce che lo storico anti-etiopismo, inferocito dalla presenza militare etiopica nell’ambito di una missione dell’Unione africana che “pace” ne ha portata proprio poca, si riveli sul piano interno una delle frecce migliori nell’arco dei jihadisti.

I rapimenti solo recentemente sono entrati nel repertorio del gruppo. grazie all’indotto di affiliati che nelle zone costiere del Kenya avrebbe sequestrato nell’ultimo anno una decina di persone, tra cui due medici cubani che lavoravano nella contea di Mandera.