Quando l’Italia saliva sui tetti, non molto tempo fa (ora non ha neanche più la forza), si poteva sperare che la televisione prendesse a cuore la disperata situazione di operai licenziati, di fabbriche dismesse e delocalizzate, con l’aspettativa di bloccare le decisioni. Ma nella notte disperata in cui Salvatore (Francesco Pannofino) lasciando perdere le discussioni del pugno di operai rimasti nella fabbrica deserta decide di salire per protesta sulla torre dello stabilimento, raggiungiamo uno spazio senza tempo.

Tanto più che poco dopo per salvarlo dal suo tentativo di gettarsi di sotto, lo raggiunge un altro personaggio ideologicamente opposto a lui, Giorgio il sindacalista (Roberto Citran). Ci troviamo quindi in una scena ben lontana dal realismo televisivo, dove può succedere che i due operai-nemici, il berlusconiano che pensava sarebbe diventato ricco anche lui e il sindacalista fortemente politicizzato che in fabbrica è cresciuto per tradizione familiare, diventano un po’ alla volta solidali, nella disamina di quanto è successo in questa storia patria così piena di misteri, frammenti di materiali d’archivio che si srotolano davanti ai loro occhi.

La notte è buia e i giornalisti della televisione si fanno aspettare, non è che ci sono drammi in vista, tanto vale aspettare che qualcuno si butti veramente di sotto. Ma c’è un custode (Carlo Gabardini) autistico e ipovedente nell’officina, che registra e ricorda tutto, e sale anche lui su per la torre. Così ora sono in tre nello stretto spazio della piattaforma, uno tutto istinto, pancia e cuore, uno tutto ragionamento, l’altro a rappresentare la memoria, anche se non sembra poter aguzzare vista e ingegno.

I fatti li sa, ma non sempre riesce a mettere insieme le cause e gli effetti. Tre personaggi che rappresentano tre aspetti di un’unica personalità, l’italiano senza via d’uscita, tra crimini e stragi, economia distrutta e scarsa speranza. La storia patria bisogna saperla leggere.

Il libro di Enrico Deaglio è il materiale su cui ha lavorato Felice Farina per questo Patria (Giornate degli Autori), pagine tanto dense di vicende da sembrare di non poter essere compresse in un unico racconto, così come non si possono memorizzare, tanti aspetti oscuri presentano. Infatti l’unico a riuscire a ricordare fatti e date è il maniacale custode che ha tutte le registrazioni di fatti, date e circostanze.

Felice Farina mette a confronto, secondo i canoni del film popolare, personaggi che sono il vago ricordo di una commedia all’italiana che non può più far ridere come quando Alberto Sordi- Nando Meniconi minacciava di buttarsi giù dal Colosseo («e buttete!») ma può destare solo amarezza perché sintesi di tante situazioni che sono passate sotto silenzio, tante fabbriche chiuse e disoccupazione crescente, come si trattasse di un ovvio cambiamento epocale cui non resta che adeguarsi.

Un flusso continuo di immagini di repertorio e dialoghi sospesi nel vuoto, secondo l’idea del regista, come avveniva per le immagini catastrofiche della seconda guerra mondiale in Hiroshima mon amour di Alain Resnais, quando però almeno si avvertiva la speranza di tempi migliori evidenziata dal gusto anche visivo dell’erotismo.

Dice Felice Farina a questo proposito: «Ho tradito le forme del documentario con un esperimento, inseguendo la memoria di un film molto amato, quel modo di legare i frammenti di repertorio allo svolgersi di un racconto presente». Il montaggio di Esmeralda Calabria Farina è il «montaggio emotivo» di un racconto non lineare perché nel film tutte le scene della vita nazionale hanno un valore storico ma anche psicologico, sono state vissute in prima linea da tutta una generazione.