Il rapporto Censis sulla situazione economica del Paese 2014, pur nel suo linguaggio paludato come si conviene a un istituto di ricerca, consegna una fotografia dell’Italia inedita. La sintesi è quella di una popolazione impaurita e sola, vulnerabile e, purtroppo, cinica. La domanda che possiamo (dobbiamo) farci è la seguente: potrebbe andare peggio?

La risposta è si. Infatti, disagio, incertezza e rischio di cadere in povertà sono fenomeni che si cumulano nel tempo. Il Censis fotografa gli effetti delle politiche economiche e sociali di ieri, mentre le politiche di oggi, in primis il Jobs act e la legge di stabilità, sono il nostro fardello per il futuro. Otto milioni di persone, potenzialmente disponibili al lavoro, sono escluse dal circuito economico. Le imprese non assumono perché costrette da rigide leggi e vincoli economici? Non scherziamo. La flessibilità in entrata e in uscita del lavoro in Italia non è seconda a nessuna, e il Jobs act retrocederà il lavoro italiano ai margini del sistema economico europeo. Non di solo lavoro si tratta. Il lavoro a «margine» è una delle principali caratteristiche dei sistemi economici arretrati, cioè sistemi produttivi incapaci di generare un reddito sufficiente e adeguato per stimolare l’innovazione tecnologica delle imprese e per finanziare una qualche forma di sostegno sociale pubblico. Quando si sostiene che il lavoro deve essere al centro della società, non si intende un lavoro qualsiasi e, forse, nemmeno il lavoro buono. Si tratta del nostro futuro e del nostro ben-essere. Pensiamo di avere toccato il fondo? Non credo. Indiscutibilmente l’Europa ci mette del suo, ma la capacità del governo di fare peggio di quello che chiede la Commissione Ue non ha precedenti.

Siamo poi alla solita manipolazione della statistica, la quale deve essere presa sempre con molta cura. Il Censis può ben dire che il lavoro part time (17%) e il tempo determinato (13,2%) sul totale del lavoro sono significativamente bassi rispetto a Germania e Paesi Bassi, ma sbaglia metodologia. In Italia il lavoro autonomo, quasi il 20% del totale, doppia la media europea e si presenta come il vero vincolo e grande anomalia del paese. Siamo un paese di falsi lavori autonomi che hanno un solo committente e sono per lo più eterodiretti. Se consideriamo con cura queste informazioni, si può ben comprendere lo stato di abbandono del lavoro. Come potrebbe, altrimenti, l’Ocse assegnare all’Italia un punteggio così alto nella flessibilità del lavoro? Una flessibilità, sempre l’Ocse, che condiziona la produttività di sistema.

L’Italia è un paese impaurito perché la politica e le politiche economiche suggerite sono incapaci di creare tanto lavoro quanto se ne perde. Al massimo riescono a suggerire di lavorare peggio un po’ tutti. Ovviamente quelli che possono lavorare, che sono 10 punti percentuali in meno rispetto alla media europea. Il solo fatto che più della metà delle persone pensano che si possa cadere in povertà ribalta il diritto positivo liberale. Il presupposto era che tutti dovevano partire dallo stesso punto di partenza; per questo le norme su lavoro e welfare state sono per definizione diseguali, ma questo principio non è stato solo svuotato. Libertà da (bisogno) e libertà di (essere) sono principi messi nel cassetto. Un cassetto chiuso a chiave e, per sicurezza, gettata lontana. Nemmeno la memoria deve rimanere dei diritti positivi.

Potrebbe andare peggio perché si sta perdendo memoria delle fondamenta della società civile. Quando il 60% delle persone immagina che potrebbe diventare povera, vuol dire che è successo di qualcosa di profondo e inedito. Il 2015 sarà un anno terribile. Draghi continua a dirlo in tutti i modi. Juncker da carte false e la Commissione europea gioca a dare i voti. Sapete quale è la cosa peggiore? Che il governo del paese trovi queste cose come meno gravi di altre.