Camicia marrone chiaro, capello scuro, sul petto cucito un distintivo di stoffa con una stella sormontata dalla parola bekci, guardia in lingua turca ottomana. È la divisa delle “aquile della notte”, le guardie di quartiere, forza dell’ordine estranea al corpo ufficiale di polizia che ora Ankara dota di poteri speciali.

Di epoca ottomana, erano state abolite nel 2008, troppo controverse e violente: dopo un risicato addestramento di 40 giorni a cui si accedeva con la licenza media e infimo rispetto a quello seguito dai futuri poliziotti, venivano dispiegate di notte, al fianco il manganello. A farne le spese i quartieri più poveri, più pattugliati, in particolare a maggioranza curda o alevita. Il presidente Erdogan li ha ritirate fuori dal cappello approfittando delle paure riemerse nella pancia dell’opinione pubblica con l’ennesimo golpe (o meglio tentato) nel luglio 2016. Sono tornate sulle strade l’anno dopo, nel 2017.

Ieri un nuovo salto di qualità: il parlamento turco ha votato a favore dei 18 articoli del disegno di legge presentato dall’Akp, il partito di Erdogan, che dota le guardie di quartiere di poteri speciali, nella pratica identici a quelli della polizia. Con alle spalle, secondo la nuova legge, non più 40 giorni di addestramento ma sei mesi, una catena di comando affatto limpida e nessun obbligo di chiedere prima autorizzazioni per arresti e perquisizioni.

Potranno fermare cittadini, chiedere loro di identificarsi, portare con sé armi da fuoco e detenere un sospetto. E aumenteranno di numero: dalle attuali 21mila a quasi 30mila, in aggiunta a 261mila poliziotti. Un +7,9% rispetto all’anno precedente: tantissimi, un agente ogni 314 abitanti, rapporto che scende a 1 a 281 con le guardie notturne e a 1 a 209 con la gendarmeria, polizia militare che conta 100mila effettivi sotto il diretto controllo del ministero dell’Interno.

La reazione delle opposizioni è stata dura, in parlamento si è tramutata in rissa, nella consapevolezza che i bekci altro non saranno che l’ennesimo braccio armato della tentacolare macchina del controllo sociale che l’Akp – con il sostegno indefesso degli alleati nazionalisti dell’Mhp – ha instaurato in Turchia.

Dietro alla legge sta il solerte ministro degli Interni, Suleyman Soylu, vice presidente dell’Akp, noto repressore e secondo molti perfetto rappresentante dello “Stato profondo” turco: è lui ad aver ordinato decine e decine di commissariamenti dei comuni curdi e i letali coprifuoco nel sud est della Turchia e ad aver imbastito e poi gestito la lotta al “terrorismo”. Potente e intelligente, tanto da essere indicato come unico vero rivale allo strapotere del presidente Erdogan.

È da febbraio che in Turchia va avanti la battaglia politica intorno alle guardie di quartiere. Nelle scorse settimane, e di nuovo ieri in occasione del voto finale, le opposizioni – il partito repubblicano Chp e quello di sinistra filo-curdo Hdp – hanno immaginato il probabilissimo futuro: ulteriori violazioni dei diritti umani e abusi sui cittadini, in particolare sulle comunità invise al progetto di turchizzazione erdoganiano. Ma soprattutto la creazione di un corpo paramilitare, fedele al presidente e capace di stringere ancora di più il pugno autoritario del governo Akp-Mhp. Lunedì si leggeva sul Guardian che buona parte delle attuali guardie sono giovani uomini legati all’Akp.

«Questa legge non protegge le persone o il quartiere. È una legge per proteggere lo Stato dal popolo», ha detto in parlamento Omer Faruk Gergerlioglu, deputato dell’Hdp.