Oggi, dopo circa due mesi e mezzo dalle elezioni politiche, i portoghesi sono chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Sì, perché il Portogallo è, come la Francia, una repubblica semipresidenziale nella quale però, avvicinandosi in questo senso molto all’Italia, il capo dello Stato ha essenzialmente un ruolo di arbitro super partes.

Marcelo Rebelo de Sousa, candidato delle destre, è di gran lunga il favorito a succedere ad Aníbal Cavaco Silva (entrambi del Partido Social Democrata – Psd). Le formazioni progressiste in realtà non sono mai veramente entrate in partita, questo nonostante a livello teorico il nuovo governo frentista guidato da Antonio Costa avrebbe potuto rappresentare un volano molto forte. Eppure, incomprensibilmente, sebbene Bloco de Esquerda (Be), Partido Comunista Português (Pcp) e Partido Socialista (Ps) abbiano mostrato un realismo del tutto inaspettato quando si è trattato di negoziare per dare vita a un esecutivo di rottura, è mancato lo stesso pragmatismo nel proporre una candidatura più o meno unitaria anche per il palazzo di Belém.

Addirittura quattro sono i nomi in campo: Edgar Silva, (Pcp), Marisa Matias, (Be), António Sampaio da Novoa , indipendente appoggiato da una parte significativa del Ps e Maria de Belém, socialista, che però non è la candidata ufficiale del partito. Troppi, e così non è difficile per Sousa apparire come l’unica figura capace di ergersi al di sopra della parti e quindi come il più adatto a «rappresentare l’unità del paese».

Dopotutto l’uomo dei conservatori è oggi conosciuto quasi esclusivamente come il commentatore degli avvenimenti politici per la rete televisiva Tvi. È come se fosse riuscito a dissociarsi completamente dal suo passato di alto dirigente del Psd – ministro, segretario di partito, membro del consiglio di Stato – trasformandosi in quel vicino di casa che tutti vorrebbero avere e a cui tutti vorrebbero chiedere consiglio.

Nella sua campagna sono davvero pochi i messaggi politici, e le risposte ai giornalisti sulle questioni più controverse sono sempre evasive. Uscito dalla televisione, lo scenario preferito da Sousa è sempre quello dei mercati, il bagno taumaturgico tra le persone «vere», la gente comune, e gli ambienti pittoreschi. Poco importa se il suo partito ha fatto di tutto in questi anni per rendere molto difficile la vita di queste persone. Poco importa se Cavaco Silva, proprio da Belém, sia stato un sostegno imprescindibile del governo di Pedro Passos Coelho.

In Sousa tutto rimanda a una logica populista, soprattutto per quel che riguarda la costruzione, attraverso la televisione, di un legame diretto popolo-leader che trascende le dicotomie destra-sinistra. I sondaggi mostrano inequivocabilmente come Marcelo riesca a raccogliere consensi ben al di sopra del 50%, molto al di là degli stretti confini dei partiti che, implicitamente, lo sostengono (Psd e Centro Democrata Social – Partido Popular sono dati di poco al di sopra del 30%).

Se questi numeri venissero confermati potrebbe quindi non esserci bisogno neanche un secondo turno, ma i sondaggi sono fallibili, e se Sousa non dovesse riuscire a vincere già questa sera allora il suo cammino verso Belém potrebbe rivelarsi ben più complicato di non quanto ci si sarebbe aspettati in un primo momento.

Insomma, gli entusiasmi per l’accordo a sinistra che ha dato vita al governo Costa sembrerebbero essersi in parte essere già spenti, o forse i partiti non sono riusciti a trasmettere la storicità di un patto che, vale la pena sottolinearlo, è stato un affaire tutto interno a Be, Pcp e Ps e che, solo marginalmente, ha coinvolto la popolazione.

È infatti innegabile come l’attuale primo ministro rappresenti una inversione di rotta molto profonda rispetto al precedente consolato di Coelho. Certo, ancora non sono del tutto noti i contenuti della prossima legge di bilancio, ma i segnali che traspaiono sono incoraggianti.

Tra i vari piani che si incrociano tra di loro in queste settimane, non secondario è il legame strettissimo che si è venuto a creare tra la politica spagnola e quella portoghese. Pablo Iglesias, leader di Podemos, è stato a Lisbona la scorsa settimana per sostenere la candidatura della Matias, Pedro Sanchez, segretario del Psoe, ha incontrato Antonio Costa pochi giorni dopo le elezioni e, cosa più importante di tutte, è oramai ipotesi concreta che anche a Madrid possa costituirsi un governo del «cambio».

Schizofrenie, queste, solo apparenti, perché la consapevolezza è sempre una questione che riguarda fasce abbastanza ristrette della popolazione che, a quanto pare, in questa tornata elettorale potrebbe optare per la notorietà del candidato più che per i suoi programmi. Peccato, perché una sponda a Belém rafforzerebbe Costa in modo determinante. Intanto perché eviterebbe veti o richieste di costituzionalità dei vari diplomi e poi perché, cosa ancora più importante, a partire da aprile, in coincidenza con l’insediamento del nuovo capo dello Stato, il parlamento potrà essere nuovamente sciolto, e questa decisione spetta in modo insindacabile al presidente delle Repubblica.