Porto Marghera compie cent’anni. Il secolo breve dell’area industriale progettata dall’ingegner Enrico Coen Cagli, è stato densissimo. Dal nulla di un’area paludosa a ridosso della laguna di Venezia, fino a diventare una delle zone industriali più grandi d’Europa.
Un secolo che ha visto la nascita, il rapido sviluppo e poi, se non la morte, il tramonto inesorabile di un colosso che ha portato sì modernità e ricchezza, ma che ha lasciato dietro di sé una scia di malattie, inquinamento, licenziamenti. E che oggi cerca con fatica di guardare avanti. Accelerazione che non ha caratterizzato solo l’area del Petrolchimico e della nuova città sorta ai piedi della fabbrica, ma tutto il territorio circostante (nel frattempo diventato Nordest), travolto dalla frenesia industriale e dal mutamento del paesaggio.

E SE IN QUESTI GIORNI il centenario viene commemorato con celebrazioni ufficiali (ma anche da una mostra che ne ripercorre le vicende a Palazzo Ducale di Venezia), all’insegna dell’ottimismo per un futuro radioso e le bonifiche imminenti a fare da controcanto allo storytelling istituzionale aiuta un libro da poco uscito, Porto Marghera – Cento anni di storie 1917-2017 (Helvetia, pp.176, euro 14).
Un ritratto corale di una Marghera vista da vicino, con le testimonianze di scrittori, giornalisti, poeti, cresciuti a pochi passi dall’immenso complesso di capannoni e aziende. Il volume è stato curato da Cristiano Dorigo, operatore sociale che da autore si è più volte occupato di Marghera (ha co-sceneggiato anche il bellissimo corto animato El mostro, ispirato alla vicenda di Gabriele Bortolozzo) e da Elisabetta Tiveron, storica e scrittrice. «Volevamo raccontare questo luogo in chiave narrativa, la modalità più efficace per esplorare gli stati d’animo – spiega Tiveron -. Perché questo secolo intenso ha coinvolto non solo gli operai, chi lavorava nelle fabbriche, ma anche molti cittadini e famiglie. Migliaia e migliaia di persone attraversate dalla storia di Marghera».

TRA GLI AUTORI COINVOLTI ci sono lo scrittore e politico Gianfranco Bettin, il giornalista Maurizio Dianese, le storiche Beatrice Barzaghi e Maria Fiano, autrici della Guida alla Venezia ribelle. C’è poi Gianluca Prestigiacomo, poliziotto prestato alla scrittura, e sono presenti alcuni testi di Ferruccio Brugnaro, il poeta-operaio che negli anni ’60 distribuiva i suoi ciclostili fuori dalle fabbriche (padre dell’imprenditore e attuale sindaco lagunare Luigi Brugnaro).
Nella ventina di racconti, molti di finzione, vengono narrati i legami affettivi e le vicende biografiche di personalità che fanno parte di quel tessuto strettamente legato alle vicende delle fabbriche, che il Petrolchimico l’hanno conosciuto per esperienza diretta o attraverso gli occhi di un parente che vi lavorava. Spesso andando indietro a quel tempo in cui le meraviglie del progresso parevano inarrestabili. E quello che più colpisce è che molte di queste testimonianze sono intessute di dolore, di malattie e morti, di licenziamenti e fabbriche che chiudono. Marghera, con le sue mastodontiche strutture, è ancora lì a ricordarci un passato che non vuole andare via, e che ha trasmesso a molti un senso di impotenza rispetto al cambiamento.
«Sul futuro di Porto Marghera, da parte delle istituzioni c’è molto ottimismo – continua Dorigo – In realtà, leggendo i documenti sulle bonifiche scopriamo che si tratta di una catastrofe in corso. Venezia, inoltre, è ancora sconvolta dal caso Mose. Ci sono molte contraddizioni attorno alla nostra città, che speriamo di avere in parte sviscerato».

LA PIÙ GRANDE EREDITÀ della vicenda di Marghera risiede forse nel senso di appartenenza di una comunità coesa, multietnica e accogliente, «che nella fabbrica ha saputo riconoscersi, per diventare classe operaia consapevole, che voleva poter decidere», spiega Tiveron. «Questo processo non c’era stato in nessun’altra città italiana fino a quel momento. Marghera è stata un laboratorio unico, capace di trascinare il resto del paese». E proprio recuperando questo spirito si potrà, forse, ripartire.