Sono ancora in mare, a bordo della nave cargo Sarost 5 che li ha soccorsi, i quaranta naufraghi – tra cui due donne incinte e un uomo ferito – che hanno peregrinato per cinque giorni su una barchetta di legno malridotta salpata venerdì dalle coste libiche verso l’Italia.

Trainati con una fune, acccolti e rifocillati dalla nave per rifornimenti della piattaforma offshore Ashtart, ora sono di nuovo a corto di acqua e viveri sulla Sarost 5 ferma all’ancora in rada davanti al porto tunisino di Zarzis. «Sono in un limbo», denunciano quattro ong tunisine tra cui il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) che chiama in causa Francia, Italia, Malta e ora la stessa Tunisia per aver rifiutato l’apertura dei rispettivi porti per lo sbarco.

LA TUNISIA SU QUESTA VICENDA che si sta consumando da giorni tra Sfax e Zarzis pare intenda fare muro per evitare di entrare a far parte dell’elenco di «porti sicuri» su cui dirottare le navi di soccorso dei natanti in panne provenienti dalla confinante Libia e diretti in Europa.

Anche se, a sentire la versione di Mongi Slim della Mezzaluna rossa di Medenine incaricato dei soccorsi medici sul cargo, sono gli stessi migranti a non voler scendere in Tunisia. «Dicono di aver pagato a caro prezzo un passaggio per arrivare in Europa e non vogliono essere bloccati in Tunisia o costretti a tornare in Libia», afferma. Mentre uno dei naufraghi sulla Sarost 5 dice al sito Infomigrants: «Siamo bloccati in mare aperto al largo della Tunisia. Abbandonati a noi stessi: mangiamo a fatica, per mancanza di cibo. Dormiamo sulle assi del pavimento. Non abbiamo i servizi igienici necessari: niente sapone, niente spazzolino da denti … I membri dell’equipaggio fanno di tutto per aiutarci, ma sono esausti anche loro».

Le trattative con le autorità tunisine sono affidate a Unhcr, Oim e Mezzaluna rossa, le stesse organizzazioni che dovrebbero mettere a punto la macchina dell’accoglienza nel caso in cui il governo di Tunisi dovesse autorizzare lo sbarco. Secondo le quattro ong tunisine si sta cercando di trascinare la Tunisia a trasformarsi da paese sicuro a piattaforma di sbarco attraverso questo caso, come «fatto compiuto».

A BRUXELLES ieri mattina in conferenza stampa il commissario europeo alle Migrazioni e agli Affari interni Dimitris Avramopoulos ha parlato – guardacaso – proprio dei «centri regionali di sbarco» che «finora alcun Paese, su entrambe le sponde del Mediterraneo, sembra disposto a ospitare». Sulla realizzazione di questa sorta di hot spot anche in territorio extra europeo ipotizzati nel Consiglio europeo del 29 giugno 2018, chiarisce Avramopoulos, «finora ci sono solo parole e rumours, non c’è nulla di concreto».

DA BAKU dove si trovava in occasione del tour «imprenditoriale» in Georgia e Azerbaijan il titolare della Farnesina Enzo Moavero ha continuato a ipotizzare che lo status di «porto sicuro» possa essere attribuito alla Libia, sostenendo che dipenderebbe solo dalla ratifica da parte libica delle convenzioni internazionali in materia. A differenza di ciò che hanno più volte ribadito l’Unhcr e Corte dei diritti dell’uomo, secondo cui la situazione in Libia non garantisce affatto la condizione di «porto sicuro» ai profughi.

LE ROTTE di coloro che scappano dalla Libia per raggiungere un luogo dove non rischiano di essere torturati o uccisi in una guerra civile a bassa intensità stanno già cambiando. Lo dimostra anche l’ultimo tragico naufragio a largo dell’isola di Cipro, parte turca. Un barcone con sopra 150 migranti ha iniziato ad affondare ieri alle sei del mattino a 18 miglia dalla costa, avvistato da un mercantile battente bandiera panamense che ha dato l’allarme alla guardia costiera turca. Dei 150 naufraghi, 103 sono stati salvati da navi commerciali e da un elicottero e portati a Mersin in Turchia. I corpi di 19 annegati sono stati recuperati mentre altri 25 mancano all’appello, «dispersi in mare».

PER L’OIM la Spagna sta diventando la prima destinazione del flusso di migranti nel Mediterraneo (18 mila) ma quasi metà delle persone arrivate in Europa fino a metà luglio (14.700) sono arrivate in Grecia. Gli annegati durante la traversata sono poco meno di 1.500.