E’ campagna elettorale: se non proprio parole al vento qualcosa di simile. Ma il rischio che la crisi libica degeneri rende più serio l’ennesimo duello a uso degli elettori tra i soci della maggioranza. E’ un botta e risposta inaugurato da Di Maio al quale replica subito, con toni più autoritari del solito, Salvini. L’oggetto del contendere è un po’ surreale: la chiusura dei porti per i rifugiati che dovrebbe decidere il ministro delle Infrastrutture Toninelli e che il collega degli Interni ha scippato con il beneplacito dell’intero governo, va inteso come misura temporanea o eterna? Quel che rende meno astrusa la schermaglia è che non si parla solo di teoria ma anche di quello che potrebbe succedere domani se la guerra civile libica divampasse. Sullo sfondo si intravede un secondo scontro: quello sul come affrontare la crisi, con Di Maio e la ministra della Difesa Trenta palesemente inferociti, anche se il vicepremier nega ogni allusione rivolta al collega leghista, per la strategia diplomatica, anzi antidiplomatica adottata dal leghista sia per quanto concerne il fronte di guerra vero e proprio, sia, soprattutto, nei confronti della Francia.

Così al Di Maio che definisce «misura occasionale» la chiusura dei porti, specifica che «di fronte a un intensificarsi della crisi non funzionerebbe», bacchetta chi «si diverte a fare il duro come se questo fosse un Risiko mentre le parole hanno un peso», Salvini risponde a stretto giro, e con rara brutalità. «Di ordine sicurezza e confini mi occupo io. Se Di Maio e Trenta la pensano diversamente lo dicano in cdm e faremo una sana, franca discussione. Finché sono ministro io i porti restano chiusi».

Sembra una minaccia di arrivare alla crisi ove M5S insistesse ed effettivamente lo è. Salvini, del resto, ha nel cassetto una nuova direttiva, un ennesimo giro di vite contro le Ong che rincara il divieto di entrare nei porti italiani alle navi private. Avrebbe dovuto presentarlo ieri. Ha rinviato a oggi probabilmente proprio perché, pur trattandosi di una misura essenzialmente propagandistica che non dovrebbe aggiungere molto a quanto già contenuto nelle precedenti direttive, nel clima determinato dallo scontro con i 5S e sopratttutto dall’incandescente quadro libico avrebbe acquistato una valenza più esplosiva del previsto.

La Trenta, però, non si fa certo mettere a tacere né da Salvini né dalla Meloni che la accusa di «parlare come se fosse rappresentante delle Ong». Risponde per le rime: «Posso invitare tutti al ministero, così spiego un po’ di diritto internazionale e magari capiscono cosa possono produrre i toni aggressivi sulla Libia. Rischiano di destabilizzare ulteriormente la situazione provocando loro per primi nuovi flussi migratori». Rischio che peraltro rilancia, moltiplicato all’ennesima potenza Sarraj. Ci sarebbero «800mila profughi, tra cui criminali e jihadisti, pronti a invadere l’Italia e l’Europa».

Che il presidente – ormai tale quasi solo di nome – libico esageri per spingere la comunità internazionale a intervenire, come segnalerà poco dopo Salvini, è ovvio. Ma è altrettanto ovvio che in caso di guerra aperta e a tutto campo gli sbarchi probabilmente si moltiplicherebbero. In quel caso la posizione unanime dei 5S, da Di Maio alla Trenta al presidente della Camera Fico, è che si debba rispettare il diritto internazionale e considerare i profughi, come spiegava ieri proprio la Trenta, rifugiati con diritto d’asilo. La rotta di collisione con Salvini sarebbe garantita.

Le battaglie mimate della campagna elettorale rischierebbero di diventare reali.
Se invece la crisi sarà contenuta e l’iniziativa diplomatica messa in campo da Conte e Moavero avrà successo, quella dei porti resterà per ora una promessa di scontro futuro e chissà se e quando sarà davvero combattuto. Ma la nuova divaricazione non passerà senza lasciare traccia. Oggi Salvini vedrà Ahmed Maitig, vicepresidente e comandante di Misurata, l’uomo forte della resistenza ad Haftar, poi però ha convocato il suo stato maggiore con all’odg la necessità di lanciare un segnale forte ai soci. Anche senza la Libia la tensione resterà alta, in particolare su Flat Tax e autonomie. Ma se la Libia esploderà tremerà anche il governo di Roma.