Giuseppe Mendicino è considerato il maggior esperto in Italia di Mario Rigoni Stern, il grande scrittore dell’Altipiano di Asiago morto dieci anni fa.

Dopo aver scritto nel 2016 per Priuli & Verlucca – casa editrice piemontese specializzata in libri di montagna – una biografia del «sergente nella neve», oggi pubblica Portfolio alpino, ventuno profili, ventuno «orizzonti di vita, letteratura, arte e libertà (224 pagine, 16,90 euro).

Sono – lo scrive così lui stesso nell’introduzione – «vite esemplari di alcuni dei nostri maggiori», persone note e meno note che hanno legato il proprio nome alle montagne. In larga parte, si tratta di soggetti incrociati lavorando con e su Mario Rigoni Stern.

C’è anche, ed è l’unico vivente, Paolo Cognetti, perché Mendicino lo ha accompagnato – citando il libro – «a conoscere la baita del vecio, sul limitare del bosco», ad Asiago. La casa intorno alla quale Rigoni Stern aveva costruito il suo arboreto selvatico, parafrasando il titolo di un altro dei suoi libri. Racconta, Mendicino, dell’ingresso con Cognetti e Anna – la moglie di Mario – nello studio dello scrittore. Un privilegio concesso a pochi, e solo a fronte di una naturale empatia.

A partire dal loro incontro sui sentieri di Rigoni Stern, Mendicino va a visitare Cognetti in valle d’Aosta, per raccontare la sua relazione con la montagna, dove ha scelto di trasferirsi dieci anni fa. Quasi tutto il libro è costruito così: è il frutto di incontri e relazioni.

E quando l’età anagrafica non non lo permette, come nel caso di Ernest Hemingway, morto nel 1961, quando Mendicino aveva appena un anno. Lo scrittore americano visse a lungo a Cortina d’Ampezzo, e in questo caso l’incotro avviene grazie alla curiosità («Per chi, come me, nella giovinezza si è appassionato ai libri di Hemingway, seguire le sue tracce tra quelle montagne è un’emozione non fa poco») e a terza persone, che hanno conosciuto l’autore e che ne hanno riferito direttamente all’autore del libro.

Accanto ai nomi conosciuti, vero e proprie icone della letteratura italiana di montagna, spesso legate alla Resistenza – come Nuto Revelli, Tina Merlin – o al grande giornalismo – Dino Buzzati – il libro di Mendicino ha il pregio di aprire una finestra su vite e storie meno conosciute. Come Toni Gobbi, guida alpina nata a Pavia, «a 89 metri sul livello del mare», e cresciuto a Vicenza, il primo cittadino a essere accolto tra le guide di Courmayer. O Ettore Castiglioni, uno dei più grandi alpinisti italiani, «le mani piccole erano abili nella roccia come tra i tasti del pianoforte» scrive Mendicino.

Che sulle sue tracce sale a Passo Maloja, a quota 1815, sul confine italo-svizzero. Quassù Castiglioni venne arrestato dai soldati elvetici nei primi mesi del 1944, e morì, dopo esser fuggito nella notte senza attrezzature, né pantaloni né scarponi. «Lo trovarono alcuni mesi dopo, appoggiato a una roccia con ancora i ramponi ai piedi, oltre il Passo del Forno, ducenti metri sotto, ormai in Italia. Era il 12 marzo 1944, non aveva ancora compiuto 36 anni» scrive Mendicino. Antifascista, s’era arruolato nell’autunno del ’43 tra i partigiani, e sfruttando le sue capacità aveva accompagnato ebrei ed oppositori politici a sfuggire alle violenza nazi-fasciste. Il nipote Saverio Tutino, giornalista e scrittore, scrisse di lui: «Ho imparato con zio Nino, camminando e arrampicando sulle Dolomiti, ad amare gli uomini e la natura, a odiare l’egoismo e la sopraffazione». Un messaggio tremendamente attuale, di fronte alle immagini di uomini e donne che a piedi, attraverso sentieri di montagna, cercano una vita migliore oltre le Alpi.