Se Matteo Renzi avesse bisogno di un ottimo spot per quel senato non elettivo che propone con la sua riforma costituzionale – ammesso che non ci abbia già ripensato – dovrebbe cercarlo nel turbinio di spostamenti e cambi di poltrona al quale fa da sfondo l’aula del senato. Solo che non può farlo perché è esattamente su queste transumanze che fa affidamento per consentire al suo governo di tirare avanti.

Digerite le regionali, a palazzo Madama sono riprese le grandi manovre tra gli eletti, come non bastassero i 125 cambi di gruppo fin qui registrati in 28 mesi di legislatura (in totale i senatori sono 321). Il gruppo misto conta ormai tanti componenti quanti il gruppo dei 5 Stelle e l’atmosfera in aula può ricordare quella rievocata al tribunale di Napoli nel processo per la compravendita dei voti all’epoca di Prodi e De Gregorio (e Berlusconi).
Ieri le ultime novità. Il senatore ed ex ministro della difesa (governo Letta) Mario Mauro ha sciolto la sua componente dei Popolari per l’Italia all’interno del gruppo Gal (contenitore cuscinetto tra maggioranza e opposizione, fucina di sperimentazioni ardite come il sostegno degli «amici di Cosentino» a De Luca in Campania) per trasferire i suoi voti stabilmente all’opposizione. Da saltuariamente all’opposizione che erano. I voti di cui si parla sono in tutto tre, ma una senatrice «popolare» è fortemente indiziata di fedeltà al governo dal momento che è – e resta – sottosegretaria (D’Onghia, all’istruzione).

Nello stesso giorno, ha preso corpo l’annunciatissima scissione da Forza Italia. Raffaele Fitto ha presentato il suo gruppo – una sigla da mal di testa «Conservatori-Riformisti» con l’aggiunta di «Italiani», da cui l’acronimo stile Croce rossa: «Cri» – che è composto da 12 senatori e non più da 15-16 perché alcuni si sono scissi dalla scissione all’ultimo momento. Questi tre o quattro sarebbero in procinto di seguire il senatore Saverio Romano (ex ministro berlusconiano), non più convinto dall’anti renzismo duro annunciato da Fitto e piuttosto sedotto dal pro renzismo morbido praticato da Denis Verdini.

Il gruppo di Forza Italia si è così ancora ridotto, avvicinandosi pericolosamente alla consistenza di quello del traditore per antonomasia, il Nuovo centrodestra di Alfano. E Berlusconi potrebbe non aver smesso di perdere pezzi, se appunto Verdini deciderà a breve di regalarsi una pattuglia personale: in questo caso l’inventore e primo firmatario del «patto del Nazareno» andrebbe a pescare soprattutto nel gruppo misto e ancora nel Gal. Il vero regalo, imbarazzante ma utilissimo, sarebbe per Renzi.
Ne ha tanto bisogno il presidente del Consiglio, visto che i calcoli che si fanno e si rifanno danno tutti lo stesso risultato: l’area di governo può contare su un margine assai ridotto, attorno ai dieci senatori. L’ultima benedizione per il «rottamatore» sono l’ex poeta della corte di Arcore Bondi e la senatrice Repetti, sua moglie. I numeri si sono a tal punto ristretti che l’ultima fiducia al governo è passata al senato con appena 161 sì, cioè la maggioranza assoluta precisa all’unità. Maggioranza assoluta che è indispensabile nell’ultimo voto sulle riforme costituzionali, nel caso ci si arrivi. Prima Renzi dovrebbe riuscire a portare a casa l’ultima lettura del testo che riscrive la Costituzione, ed ecco perché la ministra Boschi ha avviato la manovra per riportare a casa (in maggioranza) l’intera Forza Italia, verdiniani e non, in nome di quel richiamo al vecchio patto del Nazareno che non dispiace al capogruppo azzurro Romani.
Tutto però diventerebbe inutile se la dissidenza del Pd – sulla scuola prima che sulle riforme – si dimostrasse davvero capace di sfilare quei trenta voti più volte (invano) minacciati. Il capogruppo Zanda dal Sole 24 Ore ha avvertito: «La legislatura è in mano ai senatori Pd». Un richiamo all’ordine. Al cospetto del caos.