La dichiarazione è «storica», ma certo di per sé non risolve i problemi industriali della Fiat, il nodo fondamentale della sua presenza (e soprattutto permanenza) in italia. Ma il fatto c’è. Il gruppo guidato da Sergio Marchionne ha comunicato ieri alla Fiom che (citiamo dalla nota aziendale) «accetterà la nomina dei suoi rappresentanti sindacali aziendali a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 23 luglio scorso».

L’alta corte è sempre l’alta corte, e insomma aveva posto sulla diatriba, in qualche modo, una ultima parola. Ovvero che anche un’organizzazione che non è firmataria di contratto può e deve poter esercitare i propri diritti sindacali in fabbrica: soprattutto se, come in questo caso, ha un mucchio di iscritti dietro. Ma, come detto, non vuol dire che i problemi dentro la Fiat siano finiti. Marchionne tiene a sottolineare che se una nuova – da lui più volte evocata – legge sulla rappresentanza non verrà approvata, la Fiat potrebbe decidere definitivamente di fare le valigie e lasciare i nostro Paese. Tornando a ribadire che in realtà, non avendo a suo parere la Fiom neanche partecipato alla trattativa, non dovrebbe a rigore godere del diritto generale affermato dalla sentenza.

«In questo modo l’azienda intende rispondere in maniera definitiva a ogni ulteriore strumentale polemica in relazione all’applicazione della decisione della Suprema Corte – spiega la sua ultima mossa la multinazionale torinese – Peraltro questa fissa, come ovvio, un principio di carattere generale: la titolarità dei diritti di cui all’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori ai sindacati che abbiano partecipato alle trattative per la sottoscrizione dei contratti applicati in azienda; la cui riferibilità alla Fiom nella concreta situazione Fiat è più che dubbia». Quindi la richiesta di una legge, con il solito aut aut cui siamo abituati: «In ogni caso, come peraltro suggerito anche dalla Corte costituzionale, un intervento legislativo è ineludibile: la certezza del diritto in una materia così delicata come quella della rappresentanza sindacale e dell’esigibilità dei contratti è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell’impegno industriale di Fiat in Italia».

Incassa la vittoria la Fiom, mentre la Fim Cisl mette più l’accento (comprensibilmente, essendo alleata di Marchionne in questa vicenda) sul nodo delle nuove regole e di una legge che assicuri la permanenza del Lingotto in Italia. Il Pd è ugualmente lieto, mentre tutti guardano al tavolo che in settembre dovrebbe finalmente avviare il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato: un confronto sul futuro dell’auto e, tra le altre cose, anche di Mirafiori (cui potrebbe essere destinata la produzione di Suv Maserati e Alfa, anche da esportazione: ma il condizionale è d’obbligo).

«A tre anni dalla firma dell’accordo che l’aveva esclusa, la Fiom rientra in fabbrica dalla porta principale – commenta Maurizio Landini, segretario dei metalmeccanici Cgil – Ora, sempre come previsto dalla sentenza della Consulta, ci aspettiamo anche il riconoscimento dei diritti sindacali, a partire dalla possibilità di convocare le assemblee, alla riapertura delle salette sindacali che la Fiat ha chiuso dopo la firma del contratto separato, fino al riconoscimento delle ore di permesso sindacale. Cosa non scontata visto che l’azienda, anche laddove costretta dai Tribunali a riconoscere il ruolo delle Rsa Fiom, le ha comunque discriminate non concedendo le stesse agibilità degli altri sindacati». E anche la Fiom chiede una legge: «Tre anni fa abbiamo raccolto le firme e presentato in Parlamento una legge di iniziativa popolare», spiega Landini, che però respinge nettamente qualsiasi aut aut: «La Fiat non può, per l’ennesima volta, vincolare le istituzioni democratiche del nostro Paese legando il mantenimento della produzione in Italia a una legge che le aggrada».

La Fim critica la Fiom, ma ne ha anche per la Fiat: «Ha ragione la Fiat quando pone il tema della certezza e dell’esigibilità delle regole, fattore decisivo quando sono in gioco importanti investimenti e l’attrattività industriale del nostro Paese. Restano da superare: la testardaggine della Fiom nel non voler riconoscere gli accordi sindacali votati a maggioranza e le paventate e inaccettabili minacce della Fiat di sospendere il programma di investimenti su Mirafiori e Cassino».