«La sconfitta è chiara, vera, limpida, facile da interpretare: il Partito democratico non funziona più. E allora da alleato, da osservatore esterno, do un consiglio: dividetevi». Giacomo Portas è il fondatore dei «Moderati», formazione rigorosamente piemontese (in regione è il secondo partito), con due consiglieri a palazzo Lascaris e un centinaio di amministratori locali. Un brand ambito e tutelato con molta cura (googolare per credere, è il primo simbolo che compare nella schermata ) dal suo inventore, che è in parlamento da tre legislature, sempre da alleato del Pd. Portas nella vita maneggia numeri: fa il sondaggista e il consulente sui flussi elettorali.

Dunque il Pd dovrebbe dividersi?

Sono i numeri a consigliarlo. Il Pd ha da sempre molte anime e da sempre fa una gran fatica a metterle insieme e farle convivere. Stavolta però è una fatica inutile: la legge elettorale premia le coalizioni. All’ultimo giro l’unica lista del centrosinistra a superare il quorum è il Pd. Era meglio fare due partiti.

Cioè meglio tornare al passato, riesumando Ds e Margherita?

Tornare ai nomi del passato non si può. Però oggi sarebbe meglio organizzarsi in un partito del socialismo europeo e un partito macroniano, liberale, moderno, estremista del buonsenso. All’indomani del voto ci troviamo a discutere del grande successo della Lega, che ha preso il 17 per cento, cioè meno del Pd. Invece il successo è quello del centrodestra. E infatti Matteo Salvini, che è un ragazzo sveglio, si propone a Di Maio come capo di una coalizione: se andasse da Di Maio solo con il risultato della Lega non ci sarebbe confronto con il risultato dei 5 stelle.

Ma i nuovi due contenitori dovrebbero comunque poi allearsi in una riedizione del centrosinistra?

Certo. Serve un centrosinistra due punte. All’epoca, Ds e Margherita insieme facevano più del 30 per cento. La proposta elettorale era più ampia e per questo appetibile. Oggi con questo tipo di legge elettorale fatta per il 36 per cento da collegi uninominali, due contenitori peserebbero di più nel mercato elettorale. Il Pd tutto intero ormai ha perso mordente.

E se invece cambiasse la legge elettorale, se venisse reintrodotto il premio di maggioranza?

Lo stesso. Sfido a dimostrarmi il contrario.

Se il Pd si dividesse, un pezzo potrebbe ’dialogare’ con i 5stelle e ascoltare il Colle più di quanto non faccia il Pd post-renziano?

Queste sono questioni che riguardano il Pd. Io faccio un altro discorso, guardo al futuro del paese.

Nel Pd c’è qualcuno che sta pensando a spaccare, o spacchettarsi? Renzi?

Non lo so. Sono amico di Bersani e Veltroni, Renzi non lo conosco bene: penso che sia davvero un ottimo panettiere che però non sa vendere il suo pane. Ma il mio consiglio è quello di un tecnico appassionato di leggi elettorali e di numeri. Il Pd oggi non svolge più la sua funzione. E la sua crisi si vedeva da prima del 4 marzo: se si perdono comuni come Torino, Genova, Piacenza bisogna capire che va cambiata l’offerta politica. Oggi, morto il bi-partitismo, per sopravvivere il centrosinistra deve attrezzarsi a combattere il bi-populismo.

Il «bi-populismo»?

I 5 stelle sono un fenomeno che rischia di lasciare tutti indietro. Non si tratta di un partito ma una piattaforma in cui un cittadino può entrare e dire la propria. Una formula innovativo, che porta dentro ideologie diverse, quindi pesca in tanti bacini elettorali.

Di fronte a questo i partiti tradizionali hanno una chance?

Se scomposti e ricomposti diversamente, io sono convinto di sì. Fra qualche mese, dopo i giri a vuoto delle prossime settimane, crescerà la richiesta di un partito estremista del buonsenso. Scenderanno i consensi verso i programmi estemporanei delle piattaforme populiste e finirà l’ubriacatura delle promesse irralizzabili. È lì che un nuovo centrosinistra deve trovarsi attrezzato per ripartire.