l presidente del consiglio ha “minacciato” di parlamentarizzare la crisi: dovrebbe farlo. Un modo per interrompere la spirale che ci sta portando fuori controllo, frutto di una gestione non trasparente della crisi annunciata. Un susseguirsi di incontri tra delegazioni, messaggi trasversali, richieste non esplicitate. Non è accettabile che il futuro del paese sia il frutto di trattative private tra leader. Tanto più se, come è esplicitamente rivendicato dai vari esponenti politici, scopo del confronto è quello di verificare la permanenza o meno della fiducia nell’attuale governo da parte di forze politiche della maggioranza.

Non è un problema di forma, bensì di sostanza. Non si tratta tanto di richiamare l’articolo 94 della nostra costituzione che prevede sia il parlamento ad accordare o a revocare la fiducia (pressoché tutte le crisi di governo in epoca repubblicana hanno avuto un’origine extraparlamentare), quanto cercare di evitare di rendere le decisioni che coinvolgono il futuro del paese un affare esclusivamente privato. Un confronto parlamentare sul «piano di ripresa e resilienza» è l’unico modo per fuoriuscire dai giochi di palazzo posti in essere da leader boriosi e far recuperare un minimo di dignità all’organo della rappresentanza popolare. Affrontando, peraltro, nel giusto modo i reali problemi sollevati.

È legittima – e in parte fondata – la critica rivolta al governo di avere accentrato eccessivamente le decisioni, soprattutto quelle di natura strategica relative al rilancio del paese. È giusto – e costituzionalmente corretto – rivendicare il coinvolgimento di tutte le forze politiche, comprese quelle di opposizione, nell’elaborazione del piano straordinario di intervento che ci apprestiamo a varare grazie a fondi messi a disposizione dall’Europa. Scelte decisive devono essere assunte nel breve periodo, un paio di mesi al massimo. Esse condizioneranno pesantemente le politiche non solo di questo governo, ma di tanti altri che gli succederanno. Dovrebbe essere naturale prevedere che queste così impegnative decisioni siano assunte nelle competenti sedi istituzionali – governo e parlamento – a seguito di un dibattito trasparente, ove le forze politiche si assumono la piena responsabilità dei propri comportamenti e i nostri rappresentanti quella delle opinioni e dei voti dati. Questa è la regola, perché allora tante resistenze a coinvolgere l’organo della rappresentanza politica?

Da tempo, ma da ultimo con drammatica evidenza, abbiamo assistito in silenzio ad una vera fuga dal parlamento. La vicenda umiliante dell’approvazione senza possibilità di discutere da parte del senato della legge di bilancio è forse il punto più basso cui è giunto un organo chiamato ormai solo a ratificare decisioni assunte altrove. La diffidenza nei confronti dei parlamentari è tale che anche in questo caso – per decidere del futuro – il passaggio alle camere è considerato, forse, necessario, ma solo dopo che tutto sia stato definito. Ancora una volta a ratifica di decisioni già assunte in altri luoghi, in altre stanze.

Si dice che la sfiducia nei confronti dei nostri rappresentati sia in fondo meritata. Può darsi. Molte discussioni parlamentari non sono edificanti. Ma perché la discussione tra leader lo è? Qui non si tratta di valutare la decadenza della politica (problema assai serio, ma diverso), si tratta di richiamare alle proprie responsabilità tutti i soggetti e le istituzionali in una fase di drammatica della vita del paese. I partiti potranno esprimere le proprie diverse opinioni ed il governo dovrà tener conto di quanto pubblicamente e responsabilmente sostenuto dalle diverse forze politiche, quelle di maggioranza in particolare. La discussione potrà concludersi con una articolata mozione ove viene definito l’indirizzo politico della maggioranza in materia di utilizzo dei fondi europei. Molte – tendenzialmente tutte le – questioni controverse (dagli obiettivi strategici, alla ripartizione dei fondi nelle diverse aree tematiche individuate, al tipo di organizzazione necessaria per la gestione efficiente dei fondi) potrebbero trovare una risposta in quest’atto parlamentare. Al governo a quel punto non rimarrebbe che dare seguito a quanto stabilito dalla sua maggioranza.

Se poi in parlamento una maggioranza non dovesse trovarsi, la parola spetterà al capo dello stato, che avrà – e con lui tutti noi – chiare le responsabilità di ciascuno. Da questa classe politica ci si può aspettare di tutto, ma fatemi concludere che non credo si possa a lungo continuare in questo gioco delle parti, non penso ci sia nessuno che voglia assumersi la responsabilità di iniziare l’anno più delicato per le sorti del nostro paese facendo saltare tutti gli accordi per sottoporsi al giudizio degli elettori. Trovare un’intesa è necessario. Proprio per questo dare la parola al parlamento è l’unica via per non lasciare che a decidere alla fine sia solo il governo, in un eterno conflitto privato con capi e capetti.