Grande arca, enorme noce di latte o forse farina, colore di smeraldo, si impone con l’aria del mattino e resta in una bolla. A scorrere le pagine di Matrilineare. Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi (La Vita Felice, pp. 231, euro 18), si rimane affascinate dalla profondità sondata dalle tantissime poete che hanno indagato un tema tanto spinoso quanto inaggirabile. Molte le immagini utilizzate, molti i versi che sgranano l’impossibile restituzione di cosa sia una madre, di cosa sia una figlia. Di dove stia la relazione, punto medio o sottofondo. Le curatrici Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster e Anna Maria Robustelli, vanno a comporre una trama che sia plurale. E in questa tessitura è la scoperta: quale importanza abbia la relazione «madre-figlia» nella poesia italiana, arcipelago di storie, contesti e formazioni e che raccoglie voci poetiche tra le più acute del panorama nazionale. Da Nadia Agustoni ad Antonella Anedda, da Patrizia Cavalli a Mariangela Gualtieri, Mariapia Quintavalla, Anna Maria Farabbi, Jolanda Insana e poi ancora Elisa Biagini, Biancamaria Frabotta e numerose altre.

Fa bene Maria Teresa Carbone – nella prefazione al volume – a segnalare come la ricerca delle curatrici risponda a un progetto più ampio di riordino e postura critica militante che arriva da lontano. Altrettanto appropriato è appunto collocare questo volume all’interno di un percorso cominciato dieci anni fa (come collaborazione fra loro poiché, individualmente e insieme ad altre, lavorano con la scrittura da decenni). La collettanea del 2009 si intitolava Corporea (edita da un’altra lodevole casa editrice, Le Voci della Luna) e raccontava l’urgenza di saldare, di nome e di fatto, tutte le poesie di lingua inglese che ruotassero intorno al corpo, grande rimosso. Così è da intendere ciò che è arrivato dopo, non un esito ma un processo di significazione che, finemente, registra nella postfazione a Matrilineare Saveria Chemotti. Separazioni, spine, sguardi, contrappunti, malattie e morti; e poi ritratti di madri e di figlie, dialoghi a distanza; nelle quattro dense e articolate sezioni in cui è suddiviso il volume c’è un punto che accomuna. Non è quello di essere state figlie né di avere avuto una madre, ma è la costante ricerca di un Tu – originario, una dissennata e talvolta meditata interrogazione di come stiano le cose quando si arriva all’osso: il sapere di se stesse, insieme alla notizia che si vorrebbe avere del proprio caro bene.