Sergey Gracev è leader e attivista dell’Unione dei sindacati indipendenti ucraini. Subito dopo il voto, abbiamo chiesto la sua opinione sull’elezione di Zelensky alla presidenza e sulle prospettive del movimento sindacale nel suo paese.

Gracev, come giudica la vittoria di Zelensky?
Il sindacato per sua natura non esprime giudizi politici. Tuttavia il popolo ucraino ha voluto esprimere un giudizio fortemente negativo sull’operato di Petro Poroshenko negli ultimi cinque anni. Un giudizio negativo che abbiamo rimarcato più volte anche noi. Per quanto riguarda Zelensky attendiamo di vedere quale sarà la sua politica, visto che finora ha evitato di parlare di programmi.

Cosa non ha funzionato nella presidenza Poroshenko?
Dal nostro punto di vista non ha funzionato nulla. La corruzione tra gli oligarchi è rimasta quella dell’era Yanukovich ma le condizioni di vita dei lavoratori sono ulteriormente peggiorate. Il salario minimo è rimasto bloccato a 70 euro mensili e si è imposta una moratoria sulle ispezioni dei sindacati sui posti di lavoro. Così è aumentato lo sfruttamento, il lavoro a cottimo e gli straordinari non pagati. Le pensioni malgrado l’inflazione galoppante sono rimaste inchiodate. La pensione sociale è 20 euro al mese, quella minima a 30. Il governo ha inoltre imposto su indicazione del Fondo monetario internazionale l’aumento del riscaldamento al livello dei prezzi di mercato, anche se poi la stragrande maggioranza degli ucraini continua a non pagare. E non si vede come potrebbe farlo, visti i livelli salariali.

Cosa avrebbe dovuto fare secondo voi Poroshenko?
Non c’è stata una politica industriale. Malgrado da Fmi e Ue siano arrivati fiumi di soldi (che condizioneranno tra l’altro la vita delle prossime generazioni di ucraini) la maggioranza di questi capitali sono finiti nel buco nero della corruzione, spartiti tra i principali oligarchi. Per il resto si è deciso di sussidiare la nostra metallurgia e le miniere di carbone che si collocano nelle fasce più basse del mercato europeo e in prospettiva sono destinate inevitabilmente a essere chiuse. Si sarebbe dovuto invece imporre un piano di investimenti per introdurre nuove tecnologie nel settore metallurgico e iniziare un processo graduale di riconversione del settore carbonifero. Le nostre industrie sono sempre più decotte e difficilmente potranno sopravvivere nei prossimi anni.

Secondo lei quale sarà la politica economica del nuovo presidente?
Per ora non ha detto un granché. Ma ha parlato di riduzione delle tasse senza fare cenno alla questione sociale se non per dire che aumenterà gli stipendi nel settore scolastico. Vedremo. Ma se si ridurrà a tutto ciò incontrerà la nostra opposizione.

Qual’è la situazione del movimento sindacale in Ucraina?
Non del tutto negativa se si compara con la situazione di altri paesi post-sovietici. Il movimento sindacale ucraino fu forte e combattivo durante gli anni della perestrojka. Nelle nostri miniere ci furono gli scioperi più potenti: non solo per migliorare le condizioni di lavoro e salariali ma per imporre la piena libertà di organizzazione dei lavoratori. Una tradizione che è rimasta intatta soprattutto nelle zone orientali del paese. Lo scorso ottobre abbiamo organizzato dopo anni uno sciopero generale con una vasta adesione. A Kiev sono scesi in piazza in quell’occasione 50mila lavoratori. Fare sindacato in un paese dove buona parte della forza lavoro attiva decide di emigrare in Russia o in Polonia dove ci sono più alti salari è difficile: il nostro appello a restare qui per lottare, spesso cade nel vuoto. I lavoratori non vivono di ideali, devono sfamare le loro famiglie. Tuttavia una nuova leva di attivisti si sta facendo strada. Si tratta di giovani che con il disfacimento della vecchia sinistra del partito comunista e socialista trova nel sindacato uno strumento “di sinistra” per combattere e contare. Abbiamo avuto esperienze straordinarie come gli scioperi alla ArceloMittal a Krivoj Rog che hanno dato l’impulso a una nuova ondata tredunionista in molte regioni del paese. E su questa strada ci stanno dando una mano anche i sindacati indipendenti russi.