Dura poco, pochissimo, la sintonia dei parlamentari Pd impegnati a giurare come un sol uomo che non accetteranno dilazioni al voto sull’ineleggibilità di Berlusconi. A far riesplodere le fibrillazioni è la pensata ferragostana di Francesco Boccia, presidente lettiano della commissione bilancio della Camera: una mozione pro larghe intese e molto rottamatrice pronta per il congresso.

La firma un drappello di lettiani, ma la stoppano il viceministro Fassina, bersaniano, («La retorica vecchio-nuovo non ci aiuta a fare passi avanti») e il renziano Angelo Ruchetti («Non capisco il senso, a meno che non si pensi che le larghe intese debbano diventare un progetto stabile per il Pd»). Alla fine è il lettianissimo Francesco Russo a bacchettare l’amico: «Non ci possono essere in questa fase documenti ’lettiani’», sarebbe un guaio se alle assise vi fosse «una mozione in nome della quale ci si debba distinguere sul sostegno al governo».

In realtà Letta in caso di precipitazione elettorale si è convinto a correre per la premiership. Ma la mozione è un’inutile anticipazione di tempi. Così fa filtrare il disappunto: «La necessità di interpretare con massimo equilibrio la funzione di presidente del Consiglio di questa maggioranza mi ha spinto fin dall’inizio a non entrare in vicende interne alle forze che sostengono il governo. Vale a maggior ragione per il mio partito e il suo congresso».
Ma nel Pd riesplode anche la grana della legge elettorale, tema che divide da sempre e in profondità le anime dem. Ad accendere le polveri, le parole del presidente dei senatori Pdl Schifani: il Pdl è «per un ridisegno della legge elettorale solo in seguito a una riforma costituzionale». E la fretta che Letta ha dichiarato dal Meeting di Cl («La riforma si farà a ottobre») è sospetta: «Vogliamo capire cosa c’è dietro».

Anna Finocchiaro, presidente della commissione affari costituzionali di Palazzo Madama, replica: «Ricordo al Pdl che il senato ha votato la procedura d’urgenza per la discussione sulla legge elettorale che deve sostituire il porcellum. Non si può più traccheggiare».

A questo punto però insorge il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. Che con i «traccheggiamenti» Pd sulla legge elettorale ha un conto aperto. Da anni. L’estate scorsa ha fatto 88 giorni di sciopero della fame per convincere le camere ad affrontare il tema. Lo scorso maggio la sua mozione per il ritorno al «mattarellum» come legge di salvaguardia in caso di ritorno alle urne scatenò un putiferio fra i suoi, e proprio Finocchiaro fu la capofila delle critiche contro il collega, accusato di mettere in difficoltà il governo per conto di Renzi: «Iniziativa intempestiva e prepotente». Giachetti attacca su facebook: «Si potrebbe fare un bel collage delle dichiarazioni di oggi (a cominciare da quelle di Letta) e di quelle di soli 3 mesi fa per rendersi conto di quanto ancora molto ci sia da rottamare, soprattutto in termini di metodo, nell’attuale politica». Giachetti mette il dito sulla piaga della «perdurante ambiguità» del Pd: «Se non vogliamo prendere ancora una volta in giro gli italiani» il Pd «prenda una decisione chiara ed esplicita prima di iniziare la discussione sulla riforma. È per la modifica del porcellum o per la sua cancellazione? È per un sistema di tipo maggioritario o proporzionale?». Il Pd in teoria è per il doppio turno alla francese, ma «qui stiamo parlando della legge immediata, da fare subito». Epifani, chiede Giachetti, convochi ai primi di settembre una direzione per decidere. Quanto a Finocchiaro, «con grande “tempestività” e senza alcuna “prepotenza” istituzionale ha praticamente scippato alla Camera l’avvio della discussione della riforma con una furbata di sapore vecchio consociativo facendone un finto incardinamento al Senato prima della pausa estiva». Un fatto marginale ? Per niente: «Avrà un peso non indifferente perché partire dal Senato (dove come noto i numeri del Pd sono ben diversi dalla Camera) significa inevitabilmente condizionare la riforma “ponte” all’accordo col Pdl e quindi portare il Pd in modo surrettizio verso la modifica del porcellum in luogo della sua cancellazione». Magari allungando il brodo fino il 3 dicembre, quando la Consulta esaminerà la legittimità del porcellum. Tornare al voto con il ’porcellinum’, cioè la legge attuale depurata del premio di maggioranza, non dispiace a molti democratici, che però si guardano bene dal dichiararlo pubblicamente.

La richiesta a Epifani è rilanciata da un drappello di renziani (Anzaldi, Magorno, Ermini, Gelli e Bonaccorsi): convochi i gruppi e chiarisca «definitivamente quale sarà il percorso della riforma», dicono. Partire dal Senato sarebbe «uno schiaffo per gli italiani»: «I numeri del Senato metterebbero a rischio la riforma sin dal suo avvio, suscitando il sospetto che anche questa volta non si abbia alcun vero intesse a cambiare la legge».