Siamo populisti, ha detto con orgoglio Giuseppe Conte. Peccato che, a parte semplificazioni giornalistiche, il populismo in realtà non esista. Vuol dire tutto e niente. Un «significante» vuoto, al pari del «popolo» di Laclau. Una parola a cui possono essere dati significati più diversi. O, se vogliamo, una ideologia così debole da dover chiedere in prestito pezzi di discorso ad altre teorie, senza di cui non può “presentarsi in pubblico”. E infatti non esiste, nella storia del pensiero politico, una teoria populista o un teorico del populismo, né vi sono uno o più libri di riferimento, militanti e non di descrizione analitica e di studio del fenomeno. Al contrario di quanto accade per il liberalismo o il socialismo, che ne hanno a iosa. Come ve ne sono persino per il fascismo, che pure metteva al primo posto l’azione, e solo poi il pensiero, la teoria.

Il primo populismo è stato il populismo di tipo agrario. I populisti della Russia zarista di fine ’800, contro cui Lenin scriverà il suo libello Cosa sono gli “amici del popolo”?, fanno dei contadini poveri il soggetto rivoluzionario. Ugualmente il People’s Party che nasce nello stesso periodo negli Stati Uniti, vuole difendere in primo luogo gli agricoltori e i coltivatori più poveri.

Diverso il caso dei populismi latinoamericani. Il più famoso e importante è il peronismo, movimento politico creato da Juan Domingo Peron, controverso uomo politico e dittatore argentino, nazionalista e ammiratore dei fascismi negli anni ’40 e ’50. Un sovranista ante-litteram, terzaforzista tra capitalismo e socialismo. Che del resto sono caratteristiche della destra del ’900, una destra moderna che nasce nella società di massa, che sa mobilitare le masse anche rubando simboli, parole e rivendicazioni tipiche della sinistra. Così il dittatore argentino seppe conquistare le masse, ergersi ambiguamente a loro paladino, contro i ricchi e l’imperialismo statunitense, ma anche con un congruo programma in favore dei lavoratori e dei meno abbienti. Che gli assicura l’appoggio dei sindacati.

Il populismo infatti è quasi sempre caratterizzato da un leader forte, a volte autoritario, che sa dialogare direttamente col popolo, conquistarne la fiducia, e dunque ama procedere a colpi di plebisciti e referendum su un discorso semplificato, ambiguo, poco definito, spesso ingenuo. Esisterà, con e dopo Peron, un peronismo di destra e uno di sinistra, l’uno contro l’altro armati. E dunque, in fondo, il peronismo è né di destra né di sinistra. Populismo inizia allora a essere una parola che può voler dire cose molto diverse.

Il termine populismo torna in auge, dopo decenni di oblio, negli ultimi anni, man mano che la sinistra rinuncia a essere se stessa, sedotta dalla “terza via” blairiana, e che gli effetti della mondializzazione neoliberista peggiorano la vita delle masse. Alto/basso, popolo contro élite, diviene la nuova rappresentazione del conflitto sociale, da parte di chi pretende essere superata la contrapposizione destra\sinistra, il vecchio conflitto di classe. Essa esprime la rabbia e i bisogni della “gente”, o del “popolo”.

Nell’Italia degli ultimi lustri il populismo nasce con le canottiere e le volgarità di Umberto Bossi. Ma il discorso populista è anche usato da chi è al governo in nome del “nuovo”, o di una mitica “società civile” che in primo luogo deve dequalificare e disprezzare la politica e i politici per prenderne il posto. Populismo allora, nella narrazione del nuovo governo che nasce in questi giorni, diviene non a caso l’assunzione dei discorsi dell’uomo qualunque, pardon: dell’uomo comune, anche se ciò significa dire no ai diritti, no alla solidarietà, egoismo del “noi ”contro “loro”.

Esiste dunque, oggi, un populismo di sinistra: quello di Podemos in Spagna, ad esempio. Che dopo aver rotto gli schemi e accumulato le forze si è alleato con Izquierda Unida ed è entrato a pieno titolo nel Partito della sinistra europea. Ed esiste un populismo di destra: di quest’ultima schiera sembra far parte il populismo oggi prevalente in Italia, il populismo andato al governo. Che continuerà ad avere una quota non insignificante di intrinseca ambiguità e a ipotizzare e\o realizzare provvedimenti anche “progressivi”. Ma che sembra destinato a mostrare anche una sua faccia conservatrice e reazionaria, inaccettabile per la sinistra.