Non c’è nulla che ricompatti più i partiti centralisti, il Partido popular e il Psoe, che la questione catalana. Dopo più di un anno di gelo, Mariano Rajoy e Pedro Sánchez sono tornati a parlarsi ieri al palazzo della Moncloa, la sede del governo. Al centro del colloquio, le intenzioni rese pubbliche dal governo catalano di celebrare il primo ottobre un referendum per l’indipendenza.

La costituzione spagnola non contempla la possibilità di celebrare referendum non convocati dal presidente del governo e non prevede il principio di autodeterminazione (o, come lo chiamano gli indipendentisti catalani, «il diritto a decidere»). Ma pubblicamente il governo catalano fa mostra di sicumera: il referendum si celebrerà, con o senza l’avallo di Madrid, e in agosto verrà approvata una legge che è mantenuta segreta (ne stanno parlando a porte chiuse solo i fautori del referendum, che hanno la maggioranza nel Parlament di Barcellona) sulla «disconnessione» dal regno di Spagna. Secondo quanto si sa, fra le altre discutibili norme previste, si dispone che due giorni dopo la pubblicazione dei risultati, se i Sì all’indipendenza superano i No (senza quorum, senza neppure garantire la maggioranza dei voti espressi), verrà dichiarata unilateralmente la repubblica catalana. Per il resto, sembra che verrà utilizzato un censo (di cui in teoria dispone solo il governo di Madrid), urne e seggi come in tutte le altre elezioni, ci sarà anche un organismo analogo a quello che supervisiona le elezioni «normali». Peccato che Madrid ha già detto in tutti modi che non permetterà sotto alcuna forma la celebrazione di nessun referendum, e che è disposta a usare tutti i mezzi per impedirlo.

Nessuno lo dice esplicitamente, ma la costituzione contiene una norma disegnata dai postfranchisti precisamente per questo: l’articolo 155, che permette al governo di sospendere i poteri di qualsiasi comunità autonoma nel caso «non applicasse gli obblighi che la costituzione o altre leggi le impongono, o attuasse in maniera da attentare gravemente l’interesse generale della Spagna». Per farlo, basta la maggioranza del Senato, dove il Pp ha già la maggioranza assoluta dei seggi. Con l’appoggio del Psoe, si arriva all’80% di senatori. L’unica timida richiesta socialista è che l’immobilista Rajoy prenda l’iniziativa, altrimenti, dicono, lo faranno loro in autunno.

Se Madrid si irrigidisce, Barcellona non è da meno. Un ministro importante del governo catalano è stato fulminato nottetempo martedì per aver detto in pubblico che forse non si potrà celebrare il referendum se Madrid lo impedisce. I movimentisti della Cup stanno considerando addirittura di entrare nel governo per garantire il referendum, mentre i «Comuni» di Ada Colau e Xavi Domenech vicini a Podemos mantengono una certa ambiguità. Da sempre a favore dell’autodeterminazione, non hanno intenzione di appoggiare un referendum destinato, secondo loro, al fallimento.

Lo scontro ci sarà, ma nessuno sa esattamente che forma prenderà.