Canzoni pop e marce trionfali, bandierine e selfie sorridenti, onor di patria e intrattenimento. È così che l’Egitto all’alba di questo 2022 si è presentato al mondo con il suo quarto World Youth Forum, il forum mondiale della gioventù.

Nella pomposa kermesse, voluta e sponsorizzata dal presidente al-Sisi, andata in scena dal 10 al 13 gennaio a Sharm el-Sheikh, hanno trovato posto l’uno accanto all’altra l’omaggio a La casa di carta e a Madre Teresa di Calcutta, Bella Ciao e i discorsi di adulazione per al-Sisi, che in prima fila dal posto di onore annuiva compiaciuto.

L’EVENTO È STATO TUTTO un gran parlare di pace, convivenza e incontro tra civiltà, in un’occasione che ha riunito nella città iper-turistica sul Mar Rosso centinaia di persone arrivate da tutto il mondo (con viaggio, vitto e alloggio pagati), prestate al gioco del dittatore che inscena il suo «dialogo» con i giovani.

Paradossale, e certo non casuale, è la scelta della data, che cade a pochi giorni da due anniversari, quello della rivolta popolare del 25 gennaio 2011 (per cui migliaia di giovani hanno perso la libertà e la vita) e quello del sequestro di Giulio Regeni.

«Se ci sono eccessi o violazioni, sono disposto a correggerle», ha dichiarato il presidente al-Sisi in uno dei siparietti offerti dal forum parlando di diritti umani. Ma, ha aggiunto, «spesso i dati riguardanti le persone detenute o le sparizioni forzate sono imprecisi o gonfiati».

Il forum di quest’anno parla sì agli egiziani ma soprattutto al pubblico e agli alleati (donatori) internazionali e si inserisce perfettamente nella campagna di pubbliche relazioni che il regime sta mettendo in atto dal alcuni mesi per rimediare alla sua reputazione globale.

Con la fine dello stato di emergenza, l’emanazione di una vuota e altisonante strategia nazionale per i diritti umani e la scarcerazione di alcuni prigionieri di coscienza molto noti alle cronache occidentali come Patrick Zaki e Rami Shaath (che ha dovuto rinunciare alla sua cittadinanza egiziana in cambio della libertà), al-Sisi manda ai suoi partner un segnale che parla di riforme e di ritorno alla «normalità».

MA SOTTO LA PATINA brillante delle passerelle e delle scenografie in stile Eurovision la normalità dell’Egitto resta quella oscura e brutale delle carceri e della forca. A ricordarlo dovrebbe bastare la condanna a cinque anni dell’intellettuale rivoluzionario e militante Alaa Abdel Fattah e con lui di altri due attivisti (tra cui il suo avvocato), in un processo che non prevede appello.

Ma la lista è lunga. L’ultimo eclatante abuso è rappresentato dal caso di Hossam Sallam, 29enne egiziano che il 15 gennaio volava su un aereo diretto dal Sudan alla Turchia, arrestato durante uno scalo non previsto in Egitto per un guasto tecnico, poi rivelatosi falso secondo Middle East Eye.

IL GIOVANE, sostenitore della Fratellanza musulmana, viveva da tempo all’estero e su di lui pendeva una condanna a 25 anni di carcere di un tribunale militare. Le autorità non hanno confermato l’arresto e dal momento della sparizione Sallam non ha più avuto contatti con l’esterno.

A rivelare un’altra pagina inquietante delle pratiche del regime è in questi giorni un rapporto pubblicato dall’agenzia egiziana Mada Masr sull’uso sistematico della pena capitale nell’Egitto del generale-presidente.

Si intitola «Il paese delle esecuzioni» e documenta, attraverso un meticoloso intreccio di dati, l’aumento vertiginoso delle persone uccise per mano del boia negli ultimi otto anni, cioè dal colpo di stato militare in poi. Il rapporto sottolinea la logica di «vendetta politica» che ha portato ad espandere il numero di reati punibili con la pena capitale e a farla tornare una pratica di uso comune da parte di una magistratura compiacente.

SONO 176 LE ESECUZIONI compiute solo tra l’agosto 2020 e l’agosto 2021. Da allora, non ci sono notizie di condanne penali eseguite, ma secondo il rapporto potrebbe trattarsi di un oscuramento mediatico per limitare le critiche internazionali.

I dati sulle esecuzioni infatti non sono pubblici e spesso neppure le famiglie dei detenuti sono informate della data dell’impiccagione, se non in seguito, per recuperare la salma. In questi otto anni il presidente al-Sisi non ha mai utilizzato la sua facoltà di graziare un condannato a morte.

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Giulio sei anni dopo: Draghi vede la famiglia

Ieri Paola Deffendi e Claudio Regeni hanno incontrato in videoconferenza il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Un incontro che ha ruotato intorno all’ordinanza del gup di Roma che, lo scorso 10 gennaio, ha tra le altre cose chiesto al governo di sollecitare l’Egitto perché risponda alla rogatoria dell’aprile 2019, con cui la Procura chiede l’elezione di domicilio dei quattro membri dei servizi segreti egiziani indagati per il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni.

A sei anni dalla sua scomparsa, il 25 gennaio 2016, e dalla morte, il 3 febbraio successivo, ancora non ci sono né verità né giustizia. La chiederanno di nuovo oggi cittadini, organizzazioni e società civile italiana, come ogni anno.

A Fiumicello, città di origine del ricercatore italiano, si svolgerà l’evento (anche in streaming) «Pensieri, parole e musica per Giulio» con la partecipazione della famiglia, di Articolo 21, Pif, Aboubakar Soumahoro, Mauro Biani, Ascanio Celestini, Gianni Cuperlo, Vinicio Capossela, Valerio Mastandrea e l’intervento online del presidente della Camera Roberto Fico.

Nel pomeriggio l’Almo Collegio Borromeo organizza l’evento online «Incontro in memoria di Giulio Regeni e Gino Strada»: interverranno i genitori, l’avvocata Alessandra Ballerini e Simonetta Gola, moglie di Gino, per Emergency. Ma oggi sarà in tutta Italia una giornata per Giulio: moltissimi i comuni che organizzano fiaccolate, mostre e minuti di silenzio.