È stata quasi dimezzata la cifra quotidiana a disposizione dell’ente gestore per ogni trattenuto al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma: da 41 a 28,8 euro al giorno. È questa la variazione principale derivata dal cambio di amministrazione del centro, prima coordinato dalla cooperativa Auxilium e, dalla mezzanotte del 14 dicembre, dalla Rti Gepsa S.A. e dall’associazione culturale Acuarinto. Il passaggio da un ente all’altro si sta rivelando pieno di difficoltà, a cominciare dalla sorte dei 67 operatori cui non è stata garantita la riconferma. La nuova gestione è subentrata a quella precedente due anni dopo la scadenza del contratto tra l’Auxilium e la prefettura di Roma, poiché alla fine del 2012 non era ancora terminata la gara per l’assegnazione dell’appalto. L’aspetto più delicato riguardava la determinazione del costo giornaliero di ogni ospite che è stato infine fissato dalla prefettura a 30 euro. E ancora una volta, nonostante le denunce di associazioni e operatori, il criterio per selezionare l’organizzazione aggiudicatrice è stato quello della «migliore offerta con il criterio del prezzo più basso», come si legge nel testo del bando «ponendo a basa d’asta il prezzo di 30,00 pro-capite pro-die» e senza che fossero «ammesse offerte in aumento rispetto al prezzo a base di gara».
Una dicitura che crea non poche perplessità. Innanzitutto perché la cooperativa Auxilium, insieme ad altri enti gestori in tutta Italia, attribuiva alla scarsità di fondi disponibili le difficoltà di gestione del centro. L’esempio più evidente, tra tanti, riguardava l’impossibilità di ritinteggiare le pareti in seguito a un principio di incendio verificatosi durante una protesta. Non solo. I fondi insufficienti ricevuti per la gestione influivano negativamente sulla qualità dei prodotti da acquistare per l’igiene degli ospiti, dal dentifricio al detersivo per lavare gli indumenti. Ma a risentirne erano anche gli operatori, costretti a ritmi di lavoro estenuanti in un edificio fatiscente e lugubre. E tutto ciò, quando a disposizione c’erano 41euro, ogni giorno e per ogni ospite. Dal 15 dicembre, quella cifra è diminuita di 13 euro. Le ripercussioni sulla vita dei trattenuti saranno numerose, a cominciare dalla prima misura messa in atto: la riduzione del pocket money, ovvero dei soldi che ogni ospite ha a disposizione per l’acquisto di beni extra, come snack, tessere telefoniche e sigarette. Da 7 euro si è passati agli attuali 5 euro.
Senza voler mettere in discussione preventivamente la nuova gestione, occorre valutare le conseguenze di un simile taglio. E non mancano i precedenti: negli anni scorsi a Crotone, a Modena e a Bologna si è arrivati alla chiusura dei centri per l’insostenibilità dei costi di gestione a fronte della scarsità di fondi, e dopo che per mesi i trattenuti erano stati costretti a condizioni di vita del tutto inadeguate. Andrebbe rivisto l’intero sistema e soprattutto i criteri di assegnazione, affidando ad esempio a un ente gestore su scala nazionale tutti i centri attraverso un’unica procedura a evidenza pubblica e legando l’assegnazione delle gare d’appalto non solo all’offerta economica più bassa, ma al rispetto di quanto previsto dal capitolato. Andrebbe poi garantito il monitoraggio a livello centrale delle condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni.
E, ancora, andrebbe ripensato il ricorso stesso ai Cie, se si pensa alla funzione che svolgono: trattenere, anche per mesi, persone che raramente vengono poi rimpatriate. Il problema vero riguarda la sussistenza di questi posti che hanno già dimostrato tutta l’inefficacia rispetto alla loro ragione di esistere: l’identificazione e l’espulsione. Basta un solo dato a dimostrarlo: a fronte di tutte le persone trattenute, solo lo 0,9% viene rimandato nel paese di origine. Tutte le altre escono senza essere identificate e senza aver avuto la possibilità di regolarizzare la loro posizione sul territorio italiano.