Un miliardo di dollari in meno nel 2020 e un altro miliardo da tagliare nel 2021. È la misura annunciata dal Dipartimento di Stato americano dopo la visita del segretario Mike Pompeo a Kabul, dove due giorni fa ha incontrato il presidente Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, i protagonisti di una crisi politica senza precedenti.

A quasi vent’anni dal rovesciamento dell’Emirato islamico e a dispetto dei tentativi del governo Ghani di aumentare le entrate statuali, il paese dipende ancora largamente dagli aiuti internazionali. Gli Stati uniti sono i contribuenti maggiori. Ma stanno perdendo la pazienza.

La visita di Pompeo serviva a far ragionare Ghani e Abdullah. I due hanno convissuto per cinque anni in un governo di unità nazionale imposto nel 2014 dall’allora segretario di Stato Usa, John Kerry, che aveva minacciato di tagliare soldi e soldati se i due, che si accusavano reciprocamente di brogli elettorali, non avessero cooperato.

L’accordo di allora prevedeva una Joya Jirga, una grande assemblea che decidesse se introdurre o meno la figura del primo ministro, assegnata provvisoriamente ad Abdullah Abdullah.

Quella Loya Jirga non si è mai tenuta. I due hanno continuato a litigare e la spaccatura si è intensificata con le presidenziali del 28 settembre 2019, contestate già prima che si svolgessero.

Il 9 marzo 2020 sia Ghani che Abdullah hanno tenuto cerimonie di inaugurazione del mandato presidenziale. La vittoria di Ghani è riconosciuta dalla Commissione elettorale, della cui indipendenza dubitano molti. Quella di Abdullah da una serie di politici locali. Ma i governi paralleli sono dannosi al paese.

Tanto più ora. Il 29 febbraio l’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad, e il capo della delegazione dei Talebani a Doha, mullah Baradar, hanno firmato uno storico accordo. Oltre al ritiro delle truppe americane e all’impegno nel contro-terrorismo dei Talebani, prevede l’inizio del negoziato vero e proprio: tra Talebani e governo di Kabul.

Ma la lista dei delegati governativi ancora non c’è, proprio per le spaccature tra Ghani e Abdullah. Quest’ultimo vorrebbe venisse formalmente introdotta la carica del primo ministro, togliendo potere al presidente. Ghani gli ha offerto un ruolo centrale nel processo di pace e qualche ministero.

Pompeo pretende di più: «La leadership afghana – recita la nota del dipartimento di Stato – minaccia i nostri interessi nazionali». Da qui la decisione di tagliare gli aiuti.

A meno che, rivela l’ultima parte della nota, non si raggiunga l’intesa per un «governo inclusivo». La cui tenuta è minacciata anche dal coronavirus: secondo il ministro della Salute, il contagio potrebbe riguardare fino all’80% della popolazione.

I portavoce della missione della Nato, Resolute Support, ammettono che in Afghanistan ci sono quattro casi positivi tra i soldati, 38 sospetti e 1.500 civili sotto controllo. Il segretario Onu Guterres chiede invece un cessate il fuoco globale.