Prosegue a spron battuto il tour del segretario di Stato Mike Pompeo nelle capitali dei paesi ex-sovietici. Dopo essere stato a Kiev da Volodomyr Zelensky promettendo 700 milioni di dollari di aiuti e una buona parola per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella Ue, ieri è stata la volta della Bielorussia.

Da più di un mese Minsk è ai ferri cortissimi con Mosca. Il contratto per la fornitura di petrolio russo non è stato rinnovato. Putin è stanco di garantire greggio a Lukashenko a prezzi stracciati per poi vederlo rivenduto a paesi europei terzi e non intende lasciare ancora nicchiare Lukashenko sulla questione dell’unificazione tra i due paesi.

Ma il presidente bielorusso non ha battuto ciglio e ha alzato il livello dello scontro, acquistando petrolio per 86mila tonnellate dalla Norvegia e alzando al 6,6% le imposte sul passaggio dell’oro nero russo sul suo territorio.

Nella partita si sono infilati ora anche gli Usa che stanno provando a rompere tutte le uova nel paniere di un’alleanza che fino a poche settimane fa sembrava solidissima. «Gli Usa sono pronti a fornire alla Bielorussia risorse energetiche a prezzi competitivi», ha dichiarato un Pompeo quasi incredulo di poter aprire una partnership, seppure solo economica, con quella che ancora oggi a Washington chiamano la «Cuba d’Europa». «I nostri produttori di energia sono pronti a offrirvi il 100% di ciò di cui avete bisogno, gas compreso», ha affermato Pompeo.

I motivi sono come al solito nobili: «Gli Stati uniti vogliono aiutare la Bielorussia a creare il proprio Stato sovrano», ha concluso Pompeo. Il risvolto politico è evidente e ha qualcosa di storico: nessun segretario di Stato era stato mai invitato in Bielorussia e dal prossimo mese gli Usa apriranno la prima ambasciata americana a Minsk.

Il presidente bielorusso, da parte sua, ha affermato che la Bielorussia sta negoziando forniture di petrolio con «Usa, Arabia saudita ed Emirati arabi», ha aggiunto di avere «relazioni brillanti» con tutti questi paesi e di «essere stanco ogni anno di inginocchiarsi e presentare petizioni per i prodotti petroliferi della Federazione russa». Quanto basta per tenere sulla corda Putin, mostrando di voler andare fino in fondo.

Domani il viaggio di Pompeo nell’ex mondo comunista proseguirà per toccare Kazachstan e Uzbekistan. Del primo gli Usa vogliono tastare il polso della nuova borghesia compradora dopo l’addio alla presidenza di Nazarbayev di cui avevano sempre apprezzato la fermezza nella lotta contro il radicalismo islamico e la sobrietà in politica estera. Il sogno di poter installare nel paese, a fianco di quelle russe, anche proprie basi non si è mai spento e i kazaki hanno lasciato che non si spegnesse.

Per l’Uzbekistan vale lo stesso discorso anche se a Tashkent sembrano voler percorrere fino in fondo la strada del paese a economia fondata sul turismo che ha condotto a eliminare qualsiasi limitazione alla permanenza degli stranieri.