L’«Operazione libertà» lanciata da Juan Guaidó per ottenere «la fine definitiva dell’usurpazione» è in corso, ma, al momento, nessuno sembra accorgersene. Dopo l’esordio del 6 aprile, il secondo atto della «massima pressione popolare mai registrata in Venezuela» si è svolto mercoledì con una modestissima partecipazione degli abitanti di Caracas.

I quali, tra i frequenti black-out (di cui l’ultimo registrato nella notte tra il 9 e il 10 aprile), gli alti prezzi dei beni di prima necessità e le sanzioni sempre più dure da parte degli Usa, hanno sicuramente altro a cui pensare che rispondere agli inconcludenti annunci dello screditato leader dell’estrema destra. Ma l’irrilevante azione dell’autoproclamato presidente ad interim ha anche costretto gli Stati uniti a ricalibrare la propria offensiva contro il governo, impiegando ogni sforzo per intensificare un assedio che di certo contavano fosse molto più breve.

È in quest’ottica che il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha iniziato ieri, fino al 15 aprile, una visita a quattro paesi latinoamericani – Cile, Paraguay, Perù e Colombia – per discutere proprio della questione venezuelana, mentre, con lo stesso obiettivo, il 9 aprile l’inviato speciale per il Venezuela Elliott Abrams si è recato in Spagna e Portogallo.

E quanto per gli Stati uniti ogni mezzo sia valido per isolare il governo bolivariano lo si è visto chiaramente durante il Consiglio permanente dell’Organizzazione degli stati americani riunito in sessione straordinaria martedì scorso, quando, in aperta violazione della Carta dell’Oea, è stata approvata con 18 voti a favore, 9 contro e 6 astensioni una risoluzione che ha designato Gustavo Tarre Briceño, indicato da Guaidó, come «rappresentante permanente» del Venezuela presso l’organismo. Un’aberrazione giuridica, come ha evidenziato la rappresentante legittima del governo Maduro Asbina Marín Sevilla, non avendo l’Oea – da cui il Venezuela si ritirerà in maniera definitiva il prossimo 27 aprile – l’autorità di riconoscere o disconoscere governi, ma solo quella di sospendere uno stato membro: una decisione quest’ultima che richiederebbe peraltro i due terzi dei voti, 6 in più dei 18 con cui è stata approvata la risoluzione di martedì.

La designazione di Tarre Briceño, ha denunciato, «è l’ultimo anello di una catena di violazioni e inganni che, per trasformare l’Oea in un’arma contro il Venezuela, ha finito per distruggere tutta la struttura del diritto internazionale che la sosteneva».

E intanto da Miami i circoli antichavisti invocano apertamente un’azione militare – per quanto definita «prematura» da Abrams -, chiedendo agli oppositori di non aver paura di farsi ammazzare. Perché, come ha scritto su Twitter il giornalista venezuelano radicato in Florida Francisco Poleo, sarebbe «spudorato chiedere a degli stranieri di mettere in conto dei morti per riscattare il nostro paese quando noi non siamo disposti a farlo». Del resto, ha spiegato, «persino l’invasione di Grenada è costata delle vite».