La ristrutturazione di edifici demaniali per realizzare la biblioteca della Soprintendenza, i saggi in profondità e i primi ritrovamenti: così a Pompei è riaffiorata la tomba monumentale di uno dei personaggi più illustri della colonia. Una maestosa iscrizione su marmo lunga quattro metri, su sette righe, ne racconta la vita facendo luce su avvenimenti e costumi negli anni a ridosso dell’eruzione del 79 d.C. Ieri il soprintendente Massimo Osanna ha illustrato i dettagli, a partire dalle scoperte emerse prima di arrivare alla tomba: «Due metri sopra il monumento funebre abbiamo trovato le tracce della fuga dei pompeiani. Sono i solchi dei carri su un terreno di lapilli. Una scoperta che va messa in relazione con il rinvenimento, poco lontano, di scheletri a una quota più alta da quella di frequentazione dei romani».

AL DI SOTTO, LA TOMBA del notabile seppellito nell’area di Porta Stabia. L’identità non è ancora certa ma, secondo Osanna, potrebbe trattarsi di Gneo Alleo Nigidio Maio: si pensava fosse morto durante esplosione del Vesuvio ma, invece, potrebbe essere deceduto l’anno prima e sistemato nella tomba tornata alla luce. L’iscrizione sepolcrale fa l’elogio del defunto raccontandone la vita a partire dall’assunzione della toga virile, evento celebrato con un banchetto aperto alla cittadinanza: vennero allestiti 456 triclini e uno spettacolo con 416 gladiatori. «Di solito – prosegue Osanna – non c’erano più di 30 coppie a gareggiare. Solo a Roma si poteva assistere a un’esibizione così grande, uno spettacolo e al contempo una carneficina». Per il matrimonio, battute di caccia così sontuose da far arrivare bestie feroci di ogni genere e animali esotici dall’Africa. Il popolo lo acclamò patronus, nell’iscrizione è indicato come Princeps coloniae, il migliore della colonia.

Se l’attribuzione è esatta, si tratta di uno dei personaggi più in vista dell’età neroniano-flavia: «C’era una grande mobilità sociale, il padre era nato schiavo e poi liberto, la madre aveva una tomba modesta, la sua non ha eguali a Pompei. Risulta acclamato più volte come prodigo dispensatore di giochi, il più noto tra gli impresari di spettacoli gladiatori della città. Come l’iscrizione riporta, il defunto ha poi rivestito la carica di duoviro». A lui apparteneva l’Insula Arriana Polliana di cui metteva in affitto «tabernae cum pergulis suis et cenacula equestria et domus». Le iscrizioni raccontano che una delle case, appena finita, aveva le pareti non dipinte così gli affittuari potevano scegliere il colore.

LA SUA VITA fa anche luce su un evento narrato da Tacito, avvenuto nel 59 d.C.: durante uno spettacolo scoppiò nell’anfiteatro una rissa che degenerò in uno scontro armato. L’imperatore Nerone incaricò il senato di indagare: ai pompeiani fu vietato di organizzare altre manifestazioni gladiatorie per 10 anni; le associazioni illegali furono sciolte; l’organizzatore dei giochi, l’ex senatore di Roma Livineio Regulo, e quanti avevano istigato lo scontro, furono esiliati. E qui Tacito si ferma. Dall’iscrizione scopriamo che il defunto, grazie ai buoni rapporti con Nerone, riportò a casa i due sommi magistrati allontanati da Pompei.

La scoperta permette anche di contestualizzare un rilievo in collezione al Museo Archeologico nazionale di Napoli. «È verosimile – spiega Osanna – che la parte superiore della tomba, danneggiata dalla costruzione dell’edificio di San Paolino, fosse completata con il pezzo conservato al Mann con scene gladiatorie e di caccia. Del resto il rilievo, scoperto negli anni ’40 dell’Ottocento, fu rinvenuto fuori posto proprio nell’area di Porta Stabia».