«Nelle prossime settimane a Pompei apriremo dieci domus fino a oggi chiuse, grazie a nuovo personale», twittava ieri il ministro per i Beni culturali Massimo Bray, direttamente dagli scavi. Con lui, c’era anche il ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia. È lì, infatti, che si è svolta la seduta della commissione cultura del parlamento, che ha visto tra i partecipanti il presidente della commissione nazionale dell’Unesco, Giovanni Puglisi. L’incontro è servito per fare il punto sulle due scadenze dell’immediato futuro: entro il prossimo febbraio il governo dovrà inviare all’Unesco la relazione con cui chiarire come procedere rispetto ai rilievi fatti dopo la visita dei commissari lo scorso gennaio; entro il 2015 poi, dovranno essere spesi i 105 milioni di euro del progetto Grande Pompei, finanziato in parte dalla Unione europea, ciò che non verrà utilizzato sarà perso.
Quando il soggetto è Pompei, la normalità è difficile da conquistare. L’annuncio dell’apertura delle domus, ad esempio, tranquillizza le istituzioni internazionali, perché la fruibilità del sito è uno dei punti fondamentali in entrambi i casi, ma con l’organico ridotto al lumicino è un’impresa molto ardua. La promessa di nuove assunzioni è una buona notizia, ieri però nessuno ha chiarito di quante unità si possa disporre né con quali tempi e modalità. Per quanto riguarda l’utilizzo di fondi da parte dei privati, Bray ha chiarito che verranno elaborate delle linee guida.
Sui ritardi nei bandi, l’impegno del governo sarà snellire le procedure conservando il controllo di legalità. Sessanta milioni di euro saranno appaltati entro la fine del 2013. Ai dieci già assegnati con sei cantieri aperti, ne verranno aggiunti venti (per fine di luglio) e trenta entro la fine dell’anno. Nei prossimi bandi dovrebbe essere eliminata la clausola del massimo ribasso utilizzata fino ad ora, la stessa che ha portato a una riduzione dei costi così radicale da far temere per la qualità dei restauri. Conservazione, fruizione e ricerca dovrebbero essere i motori dello sviluppo, da qui in avanti. «Intorno all’area archeologica la situazione resta inalterata, serve il coinvolgimento degli enti locali»: questo il commento del presidente della Commissione cultura Andrea Marcucci (Pd), che ha poi proseguito: «È necessario lanciare un piano straordinario per le risorse umane con le università e il mercato, un adeguamento infrastrutturale per arrivare all’area archeologica, una campagna internazionale di promozione. Ulteriori passi falsi su Pompei sarebbero letali per l’Italia».
Per mesi è sembrata aleggiare la possibilità che l’Unesco mettesse il sito nella black list ma, secondo Puglisi, si è trattato solo di un caveat, un’ammonizione: «Il titolo di patrimonio mondiale non è a rischio. La procedura non è neanche partita. I rilievi sono stati fatti sei mesi fa, ci aspettiamo un cronoprogramma e una serie di interventi decisi per la messa a punto e il rispetto del piano di gestione». Il presidente della commissione nazionale dell’Unesco si era spinto fino a chiedere i poteri commissariali, ma la sola ipotesi ha fatto venire i brividi a molti, visto che la gestione della Protezione Civile affidata a Marcello Fiori è stata l’anticamera di una serie di disastri, tra cui lo scempio al Teatro Grande, oggetto delle inchieste della procura di Torre Annunziata. Così, ha fatto un passo indietro, «era una provocazione», ha spiegato per sollecitare meno burocrazia e più interventi coordinati tra i ministeri e la Soprintendenza, chiamando anche in causa il dicastero dell’Istruzione e ricerca. «Si potrebbero stilare protocolli per avviare al restauro e alla conservazione i nostri laureati». Professionisti che oggi restano a spasso grazie al blocco delle assunzioni. «In commissione – ha spiegato l’architetto Biagio De Felice – i giovani professionisti hanno illustrato modalità innovative di intervento negli scavi. Abbiamo bisogno di forze nuove che, una volta partiti i bandi per le regio VI, VII e VII, che coprono metà dell’area, possano assicurare un futuro al sito con la manutenzione ordinaria».