Vediamo in Vento di Soave di Corrado Punzi presentato al Torino Film Festival una Brindisi proiettata nella prospettiva dei secoli, nella grandezza del suo approdo terminale della via Appia, meta dei Grand Tour latin, e, come evoca il titolo, luogo legato a Federico II. Terra operosa di coltivazioni, commerci e pesca, il film possiede anche una prospettiva storica verso il futuro con gli evidenti scenari costruiti dal modello di sviluppo del neocapitalismo avanzato. Gli alieni sono già tra noi, sotto forma di  polveri sottili e veleni che non si riescono a individuare neanche con le potenti armi mediche e legali. Così, parallelamente si mostra la vita di chi nella città lavora e vive a ridosso del Petrolchimico e quello che l’impianto ha rappresentato nel giro di pochi decenni, quando nel 1959 sembrò rivoluzionare l’assetto agricolo della zona e portare benessere e modernizzazione. Una scena di repertorio con una ruspa che oggi appare funesta in ricordo dei tanti espianti degli ulivi in tutto il Salento, irrompe a fare piazza pulita delle coltivazioni di un’intera zona  grande tre volte l’intera città. Al contrario delle tante interviste televisive qui non ci sono tante parole, oppure sarà il pubblico a trarre le sue conclusioni, attraverso le cose non dette o appena accennate da un dialetto assai espressivo. Così come le strategie si indovinano dalle manifestazioni pubbliche sostenute dall’industria come il glorioso basket cittadino, gli eventi culturali ed elettorali, e infine anche i finanziamenti agli ospedali pediatrici per guarire quelle malattie prodotte dai fumi. Quella che sembra una nave spaziale, è il condotto utilizzato per isolare il ciclo del carbone, ma evidentemente qualcosa fuoriesce se il tasso di mortalità e malformazioni raggiungono i livelli più alti in Europa. Ma gli esperti dicono che non ci sono collegamenti tra le polveri e i tumori. Sarà forse colpa del fumo dei camini? L’affascinante racconto condotto da Corrado Punzi, ricco di implicazioni profonde con i suoi scenari fiabeschi e durissimi ci porta a chiedergli delle parole non espresse.

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Il film termina con un processo di cui non si dice il giudizio finale, interrompi al momento della sentenza .

Era il processo degli agricoltori. Hanno vinto il processo a ottobre, hanno avuto diritto ai risarcimenti per le produzioni mancate, ma non è stato stabilito quanto sarà la somma. Ho interrotto la ripresa perché non importa la cifra, il loro destino rimane sempre quello. È una sentenza che pende sui loro destini. La cosa grave è che quello non era un processo sull’ambiente, sui danni sanitari. Il processo sui danni sanitari non ha avuto esito.

Cosa mi dici di quelle immagini della trasformazione della città?

Si tratta di una colonizzazione culturale, non solo territoriale. Sembra di essere di fronte a un destino a cui non ci si può opporre.

Avevi già realizzato film sui temi dell’inquinamento, questo come nasce?

Avevo appena girato un lavoro per l’Arci I 4 elementi su Taranto, realizzato in pochi giorni, poi Stefano Martella un giornalista d’inchiesta mi ha proposto di lavorare sull’industria di Brindisi. Il problema è che si parla sempre solo di Taranto, mai di Brindisi e Lecce, come se non si volesse vedere il problema, neanche gli stessi brindisini ne vogliono parlare, per loro la cosa importante è mostrare la bellezza della città. È invece un problema che ci tocca tutti nel Salento, forse in particolare a Lecce dove per un incrocio di venti arriva insieme l’inquinamento di Taranto e di Brindisi, due bombe ambientali. In quasi tutte le famiglie ci sono casi di tumore, i dati finali sono il 68% di malformazioni infantili più alti della media europea, ci sono stati medici di neonatologia che hanno rilevato nel cordone ombelicale materiale plastico del Petrolchimico.

Nel film si vede il sub che analizza un pesce con due spine dorsali

La vicenda che ho ricostruito è quella autentica di un operaio sub che ha portato il pesce al dipartimento di biologia della Provincia e gli hanno detto che non si può attribuire all’industria, che si tratta di stress da sovraffollamento degli allevamenti. Bisogna vedere chi finanzia i ricercatori. Io ci tenevo a non raccontare solo una parte del conflitto. Mi interessava seguire la prospettiva della grande industria e poiché il Petrolchimico non ha voluto farci entrare ho seguito le comunicazioni, fin da quando i cinegiornali raccontavano come in una terra di pecorari arrivasse il benessere capace di trasformarli in ricchi uomini del nord con la macchina. La retorica dello sviluppo ci ha rovinato. E poi ho seguito la logica della grande industria tramite le iniziative dell’addetto stampa: dal contrasto delle prospettive emerge una complessità di giudizio perché non si appiattisce su una singola prospettiva. Lo si vede da come agiscono queste aziende, da tutti i lavori di compensazione negli ospedali, nella sponsorizzazione del basket, finanziando teatri, ristrutturazioni.