Una selva in 3D dai toni freddi e bluastri è la visione d’apertura di Dante Metànoia di e con Sergei Polunin, produzione tripartita commissionata alla star di origine ucraina da Ravenna Festival prima della pandemia. Progetto corposo, sviluppato a tappe in questi tempi difficili, ha debuttato in prima assoluta al teatro Dante Alighieri di Ravenna. In scena fino a domenica, fa parte della Trilogia d’Autunno del Festival. Un viaggio complicato, un coreografo a cantica nel confronto non privo di spine con Dante, Ross Freddie Ray per l’Inferno, Polunin stesso per il tormentato Purgatorio, Jiří Bubenícek per la visione estatica eppur dolente del Paradiso: uno staff di video designer, compositori, pianisti, un’opera pop con un unico protagonista al centro del viaggio: Sergei. Metànoia, dal greco, significa “conversione totale”, un percorso in cammino non privo di legami con l’autobiografia dell’uomo e del danzatore Polunin, noto per i suoi colpi di scena, cambiamenti di vita, dichiarazioni discusse, un amore per la danza combattuto quanto irrinunciabile.

foto di Silvia Lelli

NON RIPERCORRIAMO la sua strada da Kherson in Ucraina agli anni di gloria e drammi al Royal Ballet di Londra, basta riguardarsi il pluripremiato film Dancer di Steven Cantor per entrare in sintonia con il personaggio, un uomo non facile, eppure pronto a dare tutto se stesso nei progetti in cui crede. L’Inferno di Ross Freddie Ray è la cantica più lunga. 40 minuti a tinte forti, immersi nel video design – mapping di Yan Yanko e nella partitura di Miroslav Bako. A Polunin Ray chiede un tour de force nei suoi inconfondibili virtuosismi, pirouettes, salti, cadute, tutto da vivere con drammatico afflato e potenza. Polunin volteggia tra catene alla Spartacus in un Inferno da graphic novel animato: in scena in carne e ossa come lui c’è soltanto il giovane soprano Andjela Ninkovic, reminiscenza di Beatrice che a tratti appare, lo sfida e lo conforta. Yanko avvolge Polunin in una scena che cambia colori e forme, circondandolo con una folla digitale di piccoli uomini dannati, con enormi animali mostruosi che appaiono da montagne incandescenti. Un gigantesco Lucifero con gli occhi infuocati chiude la prima cantica. Musica roboante, eseguita in parte anche dal vivo, un film d’animazione che sembra un videogioco. Chissà cosa direbbe Dante.

foto di Silvia Lelli

30 MINUTI  di intervallo prima della seconda parte, 20 minuti tra Purgatorio e Paradiso. Per il primo, di e con Polunin, la video designer Marcella Grimaux firma una scena in 3D che dà l’idea del viaggio verso una meta, scenari che si aprono e trasformano, porte e scale che conducono alla luce, partitura per 8 archi e 4 flauti di Gregory Revert. È il luogo di passaggio che Polunin sente più vicino alla vicenda umana: lo coreografa con sincerità e con un timbro più credibile, intimo di quello che si respira nella prima cantica. La coreografia è molto debitrice al classico. È nel Paradiso di Jiří Bubenícek che Polunin viene spinto verso un linguaggio coreografico più contemporaneo in cui l’ascesi verso la perfezione viene raccontata nel cammino, con movimenti che da terra si elevano verso l’alto con una dinamica libera dai passi canonici. Set design di Otto Bubenícek, nove statue stilizzate con volto bianco che moltiplicano con timbro metafisico il protagonista. Composizione musicale di Kirill Richter giocata su percussioni in metallo.

Dante Metànoia si approfondisce verso la fine. Un debutto che ci auguriamo in progress: la struttura drammaturgica soffre al momento di uno sbilanciamento tra le parti. Ridondante l’Inferno e più di superficie di Purgatorio e Paradiso, comprensibile un intervallo di mezz’ora visto che Polunin (eccellente come sempre) è l’unico interprete, ma lo stacco è troppo lungo, anche in rapporto alla durata complessiva delle altre due cantiche. Dieci minuti di applausi.