Il discusso emendamento alla legge sull’Istituto della Memoria Nazionale (Ipn), che prevede fino a tre anni di carcere per chi attribuisce alla Polonia la responsabilità dei crimini del nazismo tedesco o utilizza espressioni come «campi di sterminio polacchi», è ormai legge. Un provvedimento dai confini incerti che mira più in generale a punire in patria e all’estero ogni tentativo di attribuire alla nazione polacca «crimini contro l’umanità, contro la pace nonché altri crimini durante la guerra».

Nelle ultime settimane i fautori dell’emendamento e la diplomazia polacca hanno continuato a ripetere come un mantra che storici e artisti sono esclusi dal campo di applicazione della legge. Eppure tutto questo non è riuscito a scongiurare la reazione stizzita degli Stati uniti e quella ben più furiosa di Israele.

All’inizio di questa settimana una delegazione polacca era volata a Tel Aviv per tentare di ricucire lo strappo dando prova di buona volontà ma presentandosi comunque a mani vuote visto che la legge e già stata firmata dal presidente Andrzej Duda. Il governo della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) ha infatti ribadito il proprio nie a fare dietrofront nonostante il rinvio non vincolante della legge al Tribunale costituzionale. «Non vedo la possibilità di cambiare la legge né abbiamo intenzione di farlo», ha dichiarato Bartosz Cichocki a capo della delegazione del ministero degli affari esteri partita per Israele. «Entrambi i paesi vogliono che le nostre relazioni ritornino alla normalità. E importante che tutte le parti siano convinte di muoversi nell’ambito della verità storica», ha spiegato il giornalista polacco conservatore e collaboratore dell’Ipn Bronislaw Wildstein, conosciuto in patria per aver divulgato nel 2005 ai media locali una lista di 240.000 persone che avrebbero collaborato in passato con l’Sb, la polizia segreta della Polonia comunista.

La presidente del Tribunale costituzionale, Julia Przylebska, entrata in carica a dicembre 2016 durante il governo del PiS, ha affidato la valutazione del provvedimento a una mini-commissione. Il gruppo da lei presieduto riunirà altri 4 membri della corte, entrati in carica anche loro durante il governo PiS (il Tribunale costituzionale della Polonia si compone di quindici giudici nominati dal Sejm, la camera bassa del parlamento polacco).

Ed è stato proprio il conflitto politico sorto negli ultimi anni intorno alle nomine dei membri del Tribunale costituzionale, e che ne avevano paralizzato il funzionamento, ad aver attirato l’attenzione di Bruxelles. E tutto questo ancora prima della riforma dei tribunali ordinari, del Consiglio nazionale della magistratura (Krs) e della Corte suprema che hanno infine spinto l’Ue ad adottare contro la Polonia la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato di Lisbona per il rischio di violazione grave allo stato di diritto. Un iter che ieri ha trovato il sostegno del Parlamento Ue in una risoluzione che esorta gli stati membri «a stabilire rapidamente se la Polonia è a rischio di violare gravemente i valori Ue».