Giovedì scorso il parlamento polacco con 408 voti a favore, e solo 7 contrari ha votato una legge per la rimozione di 469 statue che ricordano il passato comunista del paese. Di particolare rilevanza politica è il fatto che ben 250 di queste statue rammentano il sacrificio dei soldati dell’Armata Rossa durante il secondo conflitto mondiale per liberare la Polonia dall’occupazione nazista.

Vale la pena di ricordare che tutti i richiami al periodo staliniano erano comunque già stati cancellati dopo la denuncia di Kruscev, nel 1956, dei crimini del dittatore georgiano. Lo Stato polacco, dopo il 1989, al contrario, non si è mai impegnato per riabilitare la memoria delle rivolte operaie di Danzica e Stettino del 1970 contro il governo di Gomulka.

Nel quadro del processo di “decomunistizzazione” iniziato un anno fa, la Polonia ha deciso di cancellare anche qualsiasi richiamo al comunismo nelle denominazioni di vie, piazze e ponti compresi quelli che ricordano Karl Marx, Friedrich Engels.

Unanime lo sdegno dei giornali e della TV russa che hanno dato ampia copertura alla notizia.

Secca anche la replica del governo russo che per bocca del responsabile per l’Europa Sergey Necaev, ha affermato che “l’approvazione di una legge che permette di demolire monumenti di epoca sovietica può avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra Varsavia e Mosca”. Necaev ha aggiunto che queste statue devono invece essere protette “in conformità agli accordi bilaterali del 1990”.

Il vice presidente della Duma, il comunista Ivan Melnikov ha dichiarato che “questa decisione è una vergogna per le nuove generazioni di polacchi che così insultano la memoria di coloro che hanno dato la vita per assicurargli un futuro di cittadini liberi” e ha concluso che “neppure Roosevelt e Churchill non avrebbero mai creduto che si sarebbe arrivati a tali decisioni.”

La “decomunistizzazione”, che richiama alla mente la caccia alle streghe del maccartismo e le distopie orwelliane, è un processo in corso in molti paesi dell’Europa centro-orientale che hanno conosciuto l’esperienza delle “Democrazie Popolari”. In Ungheria, lo scorso febbraio, il governo aveva preso la clamorosa decisione di rimuovere a Budapest la statua dedicata del filosofo marxista Giorgy Lukacs e di chiudere presso l’Accademia delle Scienze i suoi archivi, visitati ogni anno da migliaia di studiosi di tutto il mondo.