Cultura

Pollock, tra le viscere del colore

Pollock, tra le viscere del coloreUn dettaglio dell'impasto cromatico di "Alchimia", di Jackson Pollock

Restauri Il conservatore della Collezione Peggy Guggenheim e curatore della mostra dedicata all'intervento sull'opera "Alchimia" dell'artista americano, spiega il difficile lavoro sul contemporaneo, quando i materiali sono i più disparati. La rassegna permette un'esplorazione in 3D del capolavoro del 1947

Pubblicato più di 9 anni fa

La mostra scientifica alla Collezione Peggy Guggenheim Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia descrive in maniera dettagliata e interattiva lo studio, la ricerca, il restauro di Alchimia, capolavoro di Jackson Pollock del 1947.
L’esposizione rappresenta la conclusione di un importante progetto di ricerca e conservazione per la prima volta avviato in Italia su un’opera simbolo dell’arte del XX secolo che ha coinvolto il dipartimento di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim stessa e gli istituti di eccellenza italiani dediti alla conservazione e studio dei beni culturali: l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Nazionale di Ottica, il Cnr-Istm e il Centro di eccellenza SMAArt dell’Università di Perugia, il Cnr-Ino e l’Infn dell’Università di Firenze, il Visual Computing Lab del Cnr-Isti di Pisa, il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino.

Tutto questo ha rappresentato per il mondo della conservazione in Italia e per le istituzioni interessate un momento storico: la prima volta che ci si è occupati di uno degli artisti-cardine del Novecento e di un’opera rivoluzionaria, punto di rottura della storia dell’arte del XX secolo.
Oggi più che mai la salvaguardia e la fruizione delle collezioni museali di arte contemporanea sono fonte di preoccupazione e vivo dibattito tra chi cerca di trovare soluzioni per conservare le proprie opere e garantire così la loro esposizione anche per le future generazioni. I materiali utilizzati dagli artisti a partire dagli anni ’40 del Novecento sono vari e pressoché infiniti e lanciano sfide sempre nuove e complicate per la loro conservazione. Questi materiali sono da poco studiati e la conoscenza del loro comportamento nel tempo è ancora oggetto di approfondimento. Intervenire su un’opera moderna e contemporanea significa studiare analiticamente i materiali costitutivi, il loro degrado e le possibili alterazioni future per ogni singola e specifica casistica.

Nel nostro caso, Alchimia è un’opera rivoluzionaria con cui Pollock abbandona il cavalletto e l’uso esclusivo dei colori tradizionali, impiegando colori che l’industria di quegli anni aveva messo a disposizione per uso automobilistico, edile e poi domestico e aggiungendo sabbia, sassolini, bastoncini di legno, filamenti tessili. La palette è molto ricca, caratterizzata da ben 17 colori, applicati a schizzi con pipette, a colatura tramite pennelli, bastoncini, oppure spremuti direttamente dal tubetto o con l’ausilio di piccole spatole. Il risultato finale è di forte impatto tridimensionale, tanto che Alchimia può essere considerata senza dubbio l’opera più materica di Jackson Pollock.

Il dipinto è stato per oltre trent’anni esposto a Venezia a casa di Peggy Guggenheim, prima che Palazzo Venier dei Leoni diventasse museo, senza nessun vetro protettivo: il particellato atmosferico, gli agenti inquinanti presenti nell’aria, le polveri incoerenti si sono depositati e fissati sia sopra la superficie del colore che all’interno delle cavità degli impasti più materici. La varietà cromatica risultava offuscata, annullando l’alternarsi di colori opachi e brillanti e determinando così un aspetto generale grigiastro e spento.

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La prima fase del progetto ha, quindi, previsto uno studio approfondito dell’opera. Sono state effettuate numerosi indagini volte a studiare e comprendere i diversi materiali utilizzati, i pigmenti, i leganti, le modalità di stesura e la cronologia esecutiva. Sono quindi state impiegate tecniche puntuali per l’analisi molecolare (Uv-vis, Raman, Ftir) di pigmenti e leganti e tecniche di imaging (radiografia a raggi X e scanner Vis-Nir) per la caratterizzazione della tecnica pittorica, per poi approfondire le indagini su Alchimia con il rilievo morfologico con microprofilometria laser della tela dal retro. Riguardo allo stato di conservazione, le analisi hanno caratterizzato i depositi di pulviscolo atmosferico sul coloree composti indotti dal degrado chimico di alcune componenti originali, mentre per la tela hanno evidenziato le deformazioni indotte dal carico del materiale pittorico.
All’interno dell’opera Alchimia, sono stati identificati materiali di diversa natura chimica: colori a tubetto a olio per artisti, Housepaints, colori alchidici. Sono stati rilevati i diciassette diversi tipi di pigmenti, tra i quali l’oltremare, il blu e verde ftalo, solfo-seleniuri di cadmio, viridian, bianco di zinco e titanio e un nero alchidico, prodotto per pittura industriale, usato per la prima volta da Pollock per gli effetti e le acrobazie di stesura che, con questo colore fluido, riusciva a creare sulla tela. In alcuni di questi il legante riscontrato presenta una porzione di olio non siccativo, dunque non completamente polimerizzato. Questo ha comportato che le polveri, oltre a depositarsi sulla superficie, fossero in parte aderite e inglobate a questa, laddove il colore non era completamente asciutto.

L’intervento di pulitura è stato così organizzato in modo selettivo e in più fasi, a partire dalla microaspirazione delle polveri decoese presenti sopra la superficie fino a un’azione più mirata a solvente, ovvero con metodi acquosi, monitorando il pH, la concentrazione ionica, così come il pH della superficie dell’area di lavoro. La pulitura ha permesso un recupero cromatico straordinario e un risultato estetico conforme all’intenzione dell’artista. Pollock volutamente non aveva verniciato il dipinto affinché la resa finale giocasse sull’alternarsi di colori brillanti e di stesure opache. Fortunatamente, nel corso della sua storia Alchimia non è mai stata verniciata, così il restauro attuale ha permesso di recuperare il ritmo variegato della riflettanza di luce sui colori. Nel rispetto di questo effetto estetico, è stato importante scegliere materiali di restauro che non apportassero alterazioni.

La mostra alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia vuole avvicinare e sensibilizzare il visitatore nell’esplorazione dell’opera attraverso il restauro, che è non solo un intervento per migliorare la conservazione, ma anche un’occasione di studio. La sinergia dei diversi istituti scientifici nonché delle differenti professionalità ha permesso di rilevare importanti informazioni sul dipinto, rese fruibili al pubblico in maniera interattiva e multimediale, così da facilitare un coinvolgimento diretto per l’apprendimento dell’opera.

Le immagini in alta risoluzione che il visitatore può apprezzare attraverso un attento percorso fatto di touch-screen, video e riproduzioni in 3D dell’opera, permettono di studiare Alchimia in ogni sua singola parte, come attraverso la lente di un microscopio. Un’occasione unica di viaggiare all’interno della materia.

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