In questa storia ci sono: molliche di pane, una bambina che visita una mostra di Henry Moore e si innamora dell’arte, un labirinto e un corvo bianco (su quest’ultimo vi anticipo subito che si tratta di un premio internazionale prestigiosissimo della letteratura per l’infanzia). Considerate che c’è anche un editore visionario, capace di immaginare le luci di mille alberi di natale accendersi negli occhi di quella bambina nel tempo divenuta artista, di farle da specchio in una delle opere che sentirà più sue, una delle opere della vita. Infine c’è un punto rosso, piccolo piccolo, come un cuore nel petto di un bambino, che pulsa irradia segnala, come un bersaglio, come un dolore, come una ferita. A volte, in lontananza, il punto potrebbe sembrare anche un cappuccetto di velluto, ma saremmo già altrove, in un’altra storia … Dimenticavo. Fondamentale. In questa non ci sono parole, nessuna. Pure si tratta di un grandissimo invito a raccontare.

Cominciamo però dall’inizio. Dunque: molliche di pane … è facile. Se alludiamo a quelle briciole lasciate a mo’ di tracce, a quegli indizi minuscoli che solo l’infanzia è in grado di escogitare, non può che trattarsi del bambino che, a causa della carestia, i genitori abbandonarono nel bosco insieme ai suoi fratelli. Sì, ma era in un tempo “arcaico”. Possibile che quelle briciole siano ancora lì? Non se le erano mangiate gli uccelli? No, sappiamo, ce lo hanno insegnato, che le fiabe possiedono la magia di attenere sempre al qui e ora, di inseguirci e raggiungerci ovunque ci troviamo. Già nel ’77 Bettelheim nella sua opera cruciale in materia, le aveva “riabilitate” e sottratte al dimenticatoio in cui la nuova onda pedagogica voleva relegarle, in quanto diseducative e crudeli, definendole invece“opere d’arte” in grado di parlare all’inconscio e ai conflitti del bambino come nessuna. Quindi è molto probabile che Pollicino sia tra qui noi … Penso per esempio ai recenti report di Terre des hommes “Indifesa” dei minori di tutto il mondo, o al nostro Paese dove, causa spending review, sono a rischio i Centri per bambini vittime di abuso … Dove potrebbe essere adesso, Pollicino? In uno slum, a sniffare colla? O semplicemente in una qualunque “casa normale”del pianeta?

Ma lasciamo per un momento questo interrogativo e torniamo alla bambina. Giovanna Ranaldi, questo il suo nome. Ecco. Lei non avrebbe dimenticato. Avrebbe frequentato l’Istituto d’arte a Roma, la sua città, avrebbe letto, studiato ascoltato, viaggiato, si sarebbe persa tra le opere dei maestri e delle maestre, come un’ape tra gli infiniti profumi dei fiori, a lungo avrebbe vissuto a New York, conosciuto le gioie e le fatiche del restauro, finché il mondo incantevole e da noi ancora fortemente in bilico dell’illustrazione (“è un mestiere economicamente difficilissimo, i lavori culturali non sono ancora considerati un bene necessario”), non l’avrebbe attratta a sé.

Giungiamo così al novembre del 2010, quando a Montreuil (Parigi), Giovanna si imbatte in Juanjo Oller, alias Milimbo, l’editore – spagnolo – di cui sopra e gli sottopone le tavole dal suo ultimo lavoro, la sua Alice nel paese delle meraviglie. Già si sente affine a quella progettualità, a quella “giocosa essenzialità”, già è incline ad andare oltre lo specchio. “La passione per le fiabe classiche … il libro la carta gli inchiostri, … i segni, i simboli … la sperimentazione, la sfida”. La tavolozza delle affinità professionali è talmente ampia che va via da quell’incontro già con la proposta di realizzare insieme un silent book (un albo solo per immagini). Oggetto: una fiaba classica. Fiducia: totale. Ciò nonostante sarà un lavorio creativo avventuroso e sofferto … fino a giungere a quel cuore, a quel puntino rosso: sarà Pulgarcito (Milimbo, 2013), i cui esiti dalla contemporaneità bruciante potete scoprire in queste pagine.

Sì, gli uccelli hanno mangiato le briciole di Pollicino, ma un corvo bianco le porterà lontano. Il White Raven, destinato a libri per l’infanzia straordinariamente innovativi, il premio della Internationalen Jugendbibliothek di Monaco, cuore mondiale della letteratura per ragazzi, si accorgerà di quelle tracce. (Da scoprire assolutamente la storia della sua ispiratrice, Jella Lepman, ebrea tedesca prima esule e poi protagonista, in terra d’origine, di un progetto di ricostruzione a partire dall’anima dei bambini tedeschi e dalle biblioteche di tutto il mondo. “Cerchiamo in particolare libri di sole figure … Le immagini parleranno una lingua universale e rallegreranno i bambini ovunque”… ).

Conobbi Giovanna Ranaldi nel 2011 alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna. In quell’occasione mi resi conto che era lei l’autrice delle tavole accoglienti e sensitive sulle 4 stagioni, che avevo acquistato anni prima e che tutt’ora accompagnano il risveglio di mia figlia. Da tanto aleggiava in me l’idea di invitarla a un’intervista …

Rimane il labirinto, direte … Beh, per scoprirlo occorre giungere alla fine del libro … Allora, a qualunque età, ci potrà confrontare con un gioco sorprendente, che dall’estate scorsa è anche un’opera d’arte con la quale Giovanna ha istoriato il pavimento di una delle stanze del Maam (Museo dell’Altro e dell’Altrove a Roma), e forse un po’ la mappa di questo incontro tra e dentro di noi. In viaggio verso quel nero, quel graffiato quel rosso, a ritroso verso quella ferita, in prossimità …

Qual’era il tuo rapporto da piccola con le fiabe e come è cambiato nel tempo.

Quando ero bambina avevo le mie preferite, Cappuccetto rosso e Hansel e Gretel, me le raccontavano mia madre e mia nonna. Ma il mio vero rapporto con le fiabe è nato paradossalmente da adulta, quando ho cominciato per conto mio a leggere e a guardare i libri illustrati. È stato lì che ho come ricucito un incanto lontano e insieme il senso una di mancanza. E quindi è stato molto potente.

Racconti che il tuo primo impulso per questo progetto guardava a Cappuccetto Rosso e che è stato poi l’editore a proporti Pollicino. Cosa rappresenta per te Cappuccetto Rosso e quale è la tua versione preferita (tra le tante penso a quella di Paul Delarue che le dà alla bambina una soggettività sempre più attiva).

Ho conosciuto per prima la versione più nota dei Grimm, cioè quella in cui a Cappuccetto Rosso viene data una seconda possibilità (che invece mancava nel testo di Perrault), grazie al cacciatore che la libera. Da piccola mi attraeva perché mi identificavo con il personaggio e perché a mia madre invece non piaceva … Di Cappuccetto Rosso mi parlava sempre come di un bambina scriteriata … (sorride), cosa che mi affascinava tantissimo. Oggi continuo ad appassionarmi a Cappuccetto Rosso. So che ovviamente non è una “scriteriata” … È una bambina che viene mandata per il mondo troppo presto. E non è pronta. Cappuccetto Rosso rappresenta il mondo dell’infanzia, ma anche il mondo femminile. Ci racconta come in quanto bambine e poi donne si sia esposte a pericoli, pressioni … e inganni …

Lasciamo Cappuccetto Rosso come testimone seduta qui tra noi e giungiamo invece a Pollicino. Che cosa hai provato quando hai riletto la fiaba di Perrault.

Ho cominciato a leggere il testo, a rileggerlo, a indagare sul contesto storico in cui Perrault l’aveva scritto … (1697, ndr). E pian piano sono proprio entrata dentro la storia, sono diventata un po’ Pollicino. Mi sono concentrata fortemente su quali potessero essere le sue emozioni. Così ho messo a fuoco la paura, che è un elemento enorme, gigantesco, una linea di tensione che percorre tutto il testo. C’è da dire poi che questa immersione nella fiaba ha coinciso con un mio periodo personale in cui mi sono ritrovata ad affrontare grandi paure. Questo mi ha fatto riflettere sulla storia, l’ho sentita anche come l’essenza di un percorso di vita. Ci si può perdere nel bosco a qualunque età e a qualunque età può succedere di dover trovare soluzioni per uscirne, cercando magari risorse che nemmeno si è consapevoli di avere. Pollicino è così, o per lo meno è considerato così. Un personaggio silenzioso, il più piccolo, emarginato all’interno della sua stessa famiglia che a sua volta vive un contesto di emarginazione. In apparenza è quello che ha meno possibilità, il meno incisivo …

Mi viene in mente la primissima tavola. Quella con i fratelli e con il cuore.

In quella immagine c’è tanto. C’è soprattutto il modo con cui ho cercato di lavorare a questo progetto, scegliendo di sintetizzare al massimo, di ricercare concetti decisamente essenziali. Nella tavola con i fratelli volevo si visualizzasse subito la differenza di Pollicino, che è anche l’espressione di quanto poco spazio lui occupi rispetto agli altri. In quello spazio così piccolo, così apparentemente limitato, ho disegnato quell’unico puntino rosso che per me è la cosa pulsante dell’immagine. Non sentivo la necessità di descrivere di più.

Nello stesso tempo ce lo mostri come uno in mezzo agli altri. Possono essere fratelli o meno, ma Pollicino pur nella sua diversità è bambino tra i bambini.

Perché lui si sente uno in mezzo agli altri. È anche incredibilmente generoso, Pollicino. Non agisce mai solo per la sua salvezza. Dimostra quindi che pur essendo il più piccolo ha tutte le capacità per riscattarsi dalla sua condizione e non solo per se stesso. È un portavoce.

Quali suggestioni d’arte hanno accompagnato queste “passeggiate nei boschi narrativi”. Se penso al cinema c’è qualcosa che mi porta a I 400 colpi.

Per me, uno dei Film, continuo a rivederlo periodicamente … Nel cinema, nella pittura e nella fotografia sono andata in cerca di ispirazioni che aderissero al mio sentire, di volta in volta cercando di mettere a fuoco il singolo personaggio. Dovendo poi raccontare questa storia solo attraverso le immagini e avendo scelto di farlo con una cifra a sottrarre, sentivo che qualunque elemento avessi deciso di introdurre, avrebbe avuto una grandissima importanza. Lo stesso sarebbe valso per tutto ciò che avrei deciso di lasciare fuori (il non detto come prateria aperta alle interpretazioni dei lettori …).

Uno dei personaggi per me più difficili da “trovare” è stato quello della moglie dell’orco, non un’orchessa, ma una donna che vive a sua volta una condizione di sottomissione e di paura. Ciò nonostante cerca come può di salvare i bambini che sono capitati in casa sua. Così l’ho disegnata tantissime volte. Cercavo per lei un’espressione che incutesse terrore ma che fosse a sua volta spaventata. Alla fine quello che mi ha fatto svoltare è stata una immagine di Nicole Kidman alias Isabel Archer nel film che Jane Campion ha creato da Ritratto di signora di James. Questa è la mia interpretazione della moglie dell’orco: come Isabel ha quell’angoscia dentro, il terrore sempre latente di un matrimonio prigione, è una donna che si è lasciata attrarre in un mondo mostruoso che non le apparteneva. Poi ancora, nella pittura, ho guardato Francis Bacon, Matisse per il disegno e William Kentridge per il suo tratto così ridisegnato, in cui anche tutto quello che è stato cancellato ha grandissima importanza. Nella fotografia invece mi sono galleggiate in mente certe foto sociali di Gianni Berengo Gardin nei campi rom, o il bianco e nero assoluto di Giacomelli. Per la madre di Pollicino, alcune tavole rinascimentali di Madonna col Bambino.

E in musica?

Ho una play list che si intitola Thomb Tumb, che è il nome di Pollicino in inglese. Ci trovi Miles Davis, Coltrane, Waits, Nina Simone, Joni Mitchell … brani legati a quelle atmosfere e musica che ascolto da sempre. Il mio lavoro su Pollicino è stato sempre accompagnato dalla musica …

Giungiamo alla paura, con riferimento all’articolo di Natalia Ginzburg che è circolato molto in rete. Siamo nel 1972 (ossia prima de Il mondo incantato di Bettelheim), e lei si sente fortemente chiamata a scrivere a proposito di una collana (Munari/Einaudi), allora appena uscita: “La morale … è che bisogna dar da mangiare ai lupi perché così dive ntano buoni. Non è vero … i lupi esistono. Si possono sfamare quanto si vuole, restano lupi e usano mangiare gli uomini … Non vedo … quale vantaggio abbiano i bambini a non aver più paura dei lupi. È un errore credere che la paura sia un male …”. E ancora. “No alle storie di dolore … No alle storie di miseria … No alla commozione. No alla crudeltà … I bambini sono fragili e perciò li nutriremo con bevande lavate e disinfettate …”. Poi : “ La felicità è fatta anche di spavento e di angoscia”.

Adoro questo scritto, la sua forza la sua ironia.Sì, di alcune cose non si può parlare. La storia di Pollicino è troppo spaventosa e quindi va edulcorata, ripulita. Anche se, a questo punto, piuttosto che snaturarla è meglio non raccontarla del tutto. Perché altrimenti sarebbe come esporre l’infanzia senza pelle all’esterno, privarla degli strumenti per affrontare la vita. Rispetto poi al connubio di cui lei parla, a me viene in mente la paura che si prova durante il gioco. Non so se potrei definirla felicità, ma è una emozione di ebbrezza e di piacere. Felicità può essere anche non negare la paura, averne consapevolezza.

Sin dalla prima volta che ho visto le tavole, quando ancora il libro non era finito, sono stata toccata dal suo continuo richiamarci a quanto accade oggi. Penso alla pratica dell’infanticidio selettivo o a quella dell’abbandono per sopravvivere alla miseria, che è continuata per secoli, fino all’800 e ancora durante la Seconda guerra mondiale, in cui magari un figlio veniva affidato a parenti lontani. Questa cifra di attualità era voluta, è venuta lavorando?

È stata in parte istintiva, in parte cercata. Coincideva talmente con quanto continua ad accadere che ho cercato di tirarla fuori dal contesto storico in cui era stata pensata (ha un’origine molto antica, Perrault l’aveva tratta dalla tradizione orale, rielaborandola). Perché i fatti narrati in Pollicino sono incredibilmente attuali: il respingimento l’abbandono la famiglia stritolata dalle difficoltà economiche, i minori dimenticati, l’incuria, l’autonomia precoce forzata. Il piccolo, inteso non in senso anagrafico, ma come colui che non ha voce e che si deve confrontare col potere, che deve sfuggire alla ingiustizia, alla disattenzione di chi dovrebbe prendersi cura di lui o di lei.

In questo senso ci sono due situazioni di oppressione e abuso: una riguarda Pollicino e i suoi fratelli, l’altra – e penso alla tavola con i volti delle bambine graffiati cancellati – quella delle figlie dell’orco che vivono con quel padre senza avere modo di ribellarsi. In questo senso lo scambio di coroncine (per il quale l’orco ucciderà le proprie figlie credendo si tratti dei bambini), ci dice che sono tutti soggetti deboli. Pure, nella dinamica degli eventi, sono le figlie dell’orco l’elemento sacrificale della storia.

Sì, sono tutte vittime, in parte le figure sono intercambiabili, in parte questo riflette la misoginia di Perrault. Il testo è zeppo di battute pessime sulla madre di Pollicino (che non può nemmeno opporsi al marito o disperarsi al momento in cui i figli sono abbandonati), e sulla moglie dell’orco. Come scrive il critico spagnolo Almodòvar in calce al libro, Perrault è il prototipo dello scrittore di corte che si serve di una brutalità dettagliata per compiacere l’interlocutore. Quando lavoravo ero molto focalizzata sul vissuto di Pollicino, ma nello stesso tempo mi è arrivata fortemente la condizione di quelle bambine inconsapevoli e addormentate che stanno per andare incontro alla morte per mano del loro stesso genitore.

Pensavo che questo libro senza parole è come un grido fortissimo.

L’ho pensato anch’io. Un libro senza parole può avere una voce immane. Allo stesso modo in cui avevo riflettuto sul fatto che Pollicino è un personaggio introverso, silenzioso e che questo è un silent book. C’è tanto rumore, tanto frastuono di immagini. E solo attraverso il silenzio possiamo sentire quella voce … la voce dell’infanzia.

Infine”. Quale sarà il tuo prossimo lavoro.

Cappuccetto Rosso … Davvero …

Non lo sapevo (e ridiamo).

La voce della madre non gli parla solo di Cappuccetto Rosso o di Pollicino: gli parla di se stessa”. Gianni Rodari

 

IL BOX: Giornata mondiale dei Diritti dell’Infanzia. Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Sul calendario, e non solo, sono vicine. Due punti fermi globali che rischiano sempre di essere grandi alibi una tantum, senza un lavoro progettuale continuo, senza un costante monitoraggio autocritico che in primo luogo si interroghi sulle prospettive da cui guardare ai problemi.

In questo, e nell’ottica universalmente condivisa del considerare il ruolo dell’educazione, e nella fattispecie, dell’educazione di genere, quale fattore preventivo imprescindibile, reputo prezioso il volume Chiamarlo amore non si può. 23 autrici raccontano ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne, edizioni Mammeonline (si veda l’acuta prefazione di Donatella Caione). Un lavoro letterario onestamente empatico, e insieme uno strumento finemente multiprospettico sensibile alle mille forme della violenza, in particolare di quella psicologica (ancora molto trascurata), a disposizione di una intera società. Ricavi al progetto Aidos Donne per lo Sviluppo a prevenzione delle mutilazioni genitali femminili in Burkina Faso.

Le tavole di Pulgarcito (graffito, acrilico, grafite), sono esposte a Sarmede (Tv), alla Mostra Internazionale di illustrazione per l’infanzia fino al 18 gennaio 2015

Per le opere di Giovanna Ranaldi: giovannaranaldi.blogspot.it

Alcune frasi di G. R. nell’introduzione all’intervista
sono tratte da un suo scritto pubblicato su topipittori.blogspot.com/

per Jella Lepman si veda La strada di Jella. Prima fermata, Monaco, Sinnos edizioni.