La quarantena è ancora in corso a Mosca – il liberi tutti è previsto per lunedì – ma la temperatura dello scontro politico è già tornata alta. A farla salire ci ha pensato il caso di Vladimir Vorontsov, un maggiore della polizia in pensione che tre anni fa ha fondato un progetto per la difesa dei diritti umani chiamato «Il difensore civico» e dall’inizio di maggio agli arresti «per diffusione di immagini pornografiche ed estorsione».

Vorontsov era diventato presto famoso aiutando i poliziotti a difendere i loro diritti sul lavoro (in Russia è vietata l’organizzazione sindacale delle forze dell’ordine) e criticando spesso la gestione dell’ordine pubblico esistente perché corrotta e inefficiente.

Sui suoi canali Istagram e Vkontakte, dove sono iscritti più di mezzo milione di persone, ogni giorno si possono leggere denunce di poliziotti sui turni di lavoro massacranti, sulle ondate di suicidi che colpiscono da qualche anno gli uomini in divisa, su raccolte fondi di beneficenza per i dipendenti di polizia con problemi economici. Recentemente aveva anche denunciato che i cadetti e gli ufficiali di una delle strutture di formazione della polizia a cui era stato riscontrato il Covid-19, erano stati costretti a fare esercizi fisici mattutini.

Molti moscoviti non credono alle accuse e, ritenendo Vorotsov vittima di una montatura, hanno iniziato a protestare. E a farlo accompagnando i propri messaggi con l’ormai celebre hashtag # FreedomtoVorontsov, sono proprio i poliziotti. Casi di vera e propria insubordinazione, visto che molti ex colleghi hanno deciso di proclamare a volto scoperto la propria solidarietà. Persino mostrando il proprio tesserino di riconoscimento, dopo che alcuni giornali avevano messo in discussione l’autenticità delle dichiarazioni di solidarietà.

Lo stesso Vorotsov sentiva da qualche tempo «puzza di bruciato» e aveva denunciato online di sentirsi sotto controllo e di aver ricevuto sulla propria carta di credito un accredito di 300 mila rubli che gli aveva fatto pronunciare la parola «provocazione».

Due giorni fa il giornalista di Novaya Gazeta Ilya Azar, dopo aver denunciato in molti articoli «la frode» contro Vorotsov, ha deciso un’azione estrema presentandosi da solo a fare un picchetto di protesta davanti alla sede della polizia di Mosca. Essendo vietato fino al termine del lockdown ogni tipo di manifestazione, il suo arresto è stato immediato.

La Mosca democratica però non è stata a guardare. Già l’altro ieri decine di giornalisti si sono presentati davanti alla sede della polizia della capitale e in 13 hanno ricevuto lo stesso trattamento riservato ad Azar. A suo sostegno anche i deputati municipali del distretto di Khamovniki.

«Ilya non ha violato alcuna legge, svolgeva un picchetto in maschera e guanti, non ha messo a repentaglio la salute dei passanti. Ovviamente, l’arresto di Ilya è legato esclusivamente alle sue opinioni politiche e alle sue attività per proteggere i diritti dei cittadini russi alla libertà di parola e di riunione», si legge nel comunicato. Denuncia, con parole simili, anche da Amnesty International e dal portavoce dell’Osce per la libertà dei media, Arlem Desir, che ha chiesto l’immediata liberazione dei giornalisti detenuti.

Ma il braccio di ferro continua: ieri altre decine di giornalisti e cittadini presenti al presidio di protesta sono stati fermati e denunciati per «manifestazione non autorizzata».