Gianni Ferrara ci ha lasciato. Ha avuto un ruolo importante in stagioni diverse nella vita del paese. Nell’università, in politica, nelle istituzioni ha saputo insegnare e dare esempio. Molti ne serbano ricordi incancellabili. Così è per me.

LO CONOBBI NEL 1967. Da poco laureato, mi avviavo a un Master presso la Facoltà di legge di Harvard. Gli chiesi consiglio sugli studi da fare. Mi disse di lasciar perdere e di andare invece nella Repubblica Federale tedesca, tipica meta degli studiosi di diritto pubblico dell’epoca. Due caratteri spigolosi – il suo e il mio – si scontrarono e io, ai primi vagiti nei circoli accademici, osai contraddire il maestro. Una cosa impensabile per l’università di quel tempo.

Ma inaspettatamente ne venne un rapporto tanto forte da durare più di cinquanta anni.

Da funzionario della camera dei deputati osservò il concreto svolgersi della forma di governo parlamentare. Questa esperienza e l’impegno nel Partito socialista, culminato nel ruolo di capo di gabinetto di Francesco De Martino vicepresidente del consiglio, lo resero attento alla interazione immediata e ineludibile tra la politica e le istituzioni, tra il fatto e il diritto. Il tutto poggiava su una solida base culturale non solo giuridica, estesa anche alla filosofia e all’economia.

Ne sono venuti studi mai solo teorici. I suoi scritti mostrano la norma come elemento sì primario, ma nell’ambito di un mosaico complesso e in continua evoluzione.

Come suo assistente nella Facoltà giuridica napoletana nei primi anni Settanta avevo occasione di discutere con lui, tra lezioni, seminari, esami, e qualche corsa in stazione per prendere l’ultimo treno.

Talvolta gli contestavo con un po’ di malizia che il suo approccio era, a ben vedere, più vicino agli studiosi di rito angloamericano che ai tedeschi. Uno sbuffo della pipa che fumava all’epoca riassumeva il diniego.

Il Midas e l’ascesa di Craxi segnarono uno spartiacque nella sua vita. Il suo rapporto con la politica era assorbente e passionale, refrattario a mediazioni per interesse personale.

Il nuovo Partito socialista non poteva essere la sua casa. Lo capivo bene. La mia tradizione familiare e la stima per De Martino, già mio professore di Storia del diritto romano, avevano fino ad allora portato anche me, pur senza tessera, vicino a quel partito. Ma non si poteva ignorare il mutamento genetico in atto.

Gianni apprezzò molto che lasciassi cadere un invito ad entrare nel circolo craxiano. Avviò allora il percorso che lo vide successivamente eletto nella IX legislatura come deputato nella Sinistra indipendente, e nella X nel gruppo Pci (poi Pds).

IN POLITICA E NEGLI STUDI fu in ogni momento coerente con la sua fede nella perdurante validità della Costituzione, nella necessità della sua attuazione, nella centralità del parlamento, nel ruolo insostituibile dei partiti.

Sono i fondamenti che la sinistra non ha saputo nel tempo difendere. Una scelta che Gianni ha sempre censurato nelle sue riflessioni, dalla legge elettorale alle riforme praticate o tentate.

Aveva conosciuto i grandi leader protagonisti della nascita della Repubblica. Per tutti aveva rispetto, pur marcando talvolta un dissenso. Giudicava invece severamente non pochi delle generazioni successive.

In qualche caso, la passione che metteva in politica lo portava a valutazioni forse ingenerose. In alcuni momenti ha sospettato anche me di intelligenza con il nemico, quando ero in parlamento

Una volta, dopo una iniziativa presso l’Istituto di studi filosofici di Gerardo Marotta, mi voltò le spalle e se ne andò senza una parola. Si ricredette quando non entrai nel Pd. Ne abbiamo poi sorriso insieme.

Considerava il manifesto una parte di sé. Con la fine dell’Unità, la sola necessaria lettura quotidiana. Ci ha insegnato molto da queste pagine.

Il più grande complimento l’ho avuto da lui quando, avendolo sollecitato a scrivere di più sul giornale, mi rispose che non era necessario perché lo facevo io, e bene.

Ho chiesto molto spesso la sua opinione sui miei articoli. Sono stati importanti per me gli apprezzamenti, e i – rarissimi – dissensi.

Addio, Gianni. Io perdo un fratello maggiore, a me vicino nella vita. Molti di noi perdono un grande compagno e amico, lucido e appassionato nell’analisi, nelle valutazioni, nelle proposte.

Tutti perdiamo uno spirito libero.