Non esagera chi afferma che l’Unione europea corre il serio pericolo di morire, dilaniata dalle sue contraddizioni irrisolte. E se è vero che l’Ue, per dirla con Luigi Ferrajoli, «è stata la più grande conquista del Novecento, in un continente diviso da una trentina di lingue e da un passato di guerre mondiali», occorre evitare che ciò accada. Un ritorno al passato, agli stati che si vogliono autosufficienti, darebbe ancor più forza ai nazionalismi risorgenti, e non salverebbe i Paesi in crisi dalla furia del finanzcapitalismo.

Chi ha a cuore l’Ue, però, non può limitarsi a professioni di fede europeista. È lecito immaginare che i dipendenti della televisione pubblica greca, cacciati ieri con la forza dal loro posto di lavoro, non sappiano che farsene di prediche sui «valori europei». Fra le persone colpite dall’austerità imposta da Bruxelles e Francoforte è logico che l’antieuropeismo cresca. Ed è altrettanto logico che tale sentimento si trasformi in aggressivo nazionalismo.
Al di là della retorica, affinché l’Ue continui a esistere è necessaria una mossa preliminare a ogni altra: la sua politicizzazione. Bisogna, cioè, sollevare il velo con il quale si ammantano di neutralità tecnica scelte che sono pienamente politiche. «Politicizzare l’Ue» significa far nascere ciò che fino a ora è mancato: uno spazio politico comune, una dialettica fra partiti continentali.

Non bastano certo i partiti, è chiaro: devono europeizzarsi sindacati, informazione, movimenti. Ma non va sottovalutata l’importanza del fatto che gli embrioni dei partiti europei comincino a vivere sul serio: senza di loro dilaga lo strapotere di una Commissione «irresponsabile», che può muoversi come fosse un organismo indipendente, ma che in realtà è un governo senza opposizione.

È una buona notizia, dunque, la nomina di Martin Schulz, l’altro ieri, a candidato dei socialisti alla presidenza dell’esecutivo della Ue. Fatte salve le riserve sulla personalizzazione della politica, contribuisce a rendere più chiara la posta in gioco alle prossime europee di maggio, perché aiuta a trasformare 28 elezioni nazionali di scarso interesse – e con affluenze spesso bassissime – in un’unica competizione fra visioni politiche alternative. Una buona notizia tanto più perché anche i Verdi voteranno a breve chi guiderà le loro liste, e così farà la Sinistra europea (dove ci sono la Linke, Syriza e Izquierda unida) a metà dicembre.

Tali scelte facilitano il confronto fra le forze progressiste, dall’esito aperto: Schulz dovrà chiarire se tesserà alleanze con i conservatori, sul modello tedesco della grosse Koalition, oppure se guarderà a sinistra. Per i Verdi e la Sinistra europea sarà l’occasione per mettere in luce le contraddizioni dei socialisti, misurandosi al tempo stesso con una personalità, come quella dell’attuale presidente dell’Europarlamento, indubbiamente autorevole. Indipendentemente da come finirà, la qualità dell’offerta politica a sinistra dovrebbe complessivamente migliorare.

Naturalmente, si è ancora lontani dalla possibilità concreta di un cambiamento nella governance che ha reso l’Europa un laboratorio di politiche neoliberiste al servizio del big business e non dei popoli. Tuttavia, la politicizzazione dell’Ue, a cui le nomine dei candidati a guidare la Commissione contribuiscono in modo significativo, è la conditio sine qua non della sua necessaria democratizzazione. Che, a sua volta, è l’unico modo per provare a togliere dalle mani di tecnocrati e banchieri il futuro di mezzo miliardo di cittadini del Vecchio continente.