Si è concluso ieri il viaggio di una delegazione della società civile tunisina -accompagnata da Arci e Cgilo – che ha chiesto al parlamento italiano, al governo e all’Unione europea impegni politici di sostegno al consolidamento della transizione democratica. «La questione dei migranti è centrale nel processo di transizione», dice al manifesto Lilia Rebai, responsabile del progetto Ue-Tunisia del Remdh. La rete Euromediterranea dei diritti umani accompagna il lavoro dell’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt), rappresentata da Sadok Belhaj Hsine.

Spiega Rebai: «Abbiamo chiesto alle istituzioni e alla politica appoggio in merito alle politiche migratorie, ai diritti economici e sociali e sostegno per la società civile democratica. La Remdh si occupa in particolare dei diritti delle donne». La situazione del paese – impegnato in una difficile ricostruzione dopo la «rivoluzione dei gelsomini», che ha spazzato via la dittatura di Ben Ali, tra il 2010 e il 2011 – non è affatto facile. L’atteggiamento di paesi come la Francia e l’Italia ha un peso determinante. Dice ancora l’attivista: «L’Aleca, l’Accordo di libero scambio completo e approfondito che l’Unione europea ha iniziato a negoziare con la Tunisia e i cui termini restano oscuri, mira a privatizzare beni e servizi, impoverendo ulteriormente la popolazione e spingendo altre persone a migrare. Politiche economiche e migrazioni sono intrecciate. Più che la libera circolazione dei capitali, chiediamo la libera circolazione delle persone, l’apertura dei visti, la ricerca degli scomparsi in mare, per cui abbiamo proposto una commissione bilaterale. Vogliamo più progetti di prossimità, non la difesa delle multinazionali». L’Aleca penalizzerebbe i piccoli agricoltori, «che hanno problemi di acqua, di saperi, di risorse e non possono certo competere con le grandi multinazionali. La rivoluzione – ricorda Rebai – è scoppiata a causa delle condizioni di povertà, della disoccupazione, ci siamo ribellati per il diritto al lavoro e alla dignità. Vogliamo uno sviluppo che non vada a vantaggio delle grandi multinazionali, ma a quello del lavoro e del benessere della maggioranza dei tunisini: a favore della dignità. Trovare una soluzione sulla concessione dei visti significa governare la transizione. L’odio di chi non ha ricchezza e non può circolare può essere un forte elemento di destabilizzazione e un terreno fertile per il terrorismo».

La proposta è quella «di creare una commissione congiunta che raggruppi rappresentanti della società civile tunisina e di quella italiana per elaborare proposte alternative ed emettere raccomandazioni utili ai decisori». Una modalità di dialogo che si basa sulla ricerca del consenso, già sperimentata durante il periodo di crisi politica dell’ottobre 2013: «Avevamo davanti lo spettro della situazione egiziana – dice l’attivista – Non volevamo e non vogliamo un’uscita militare dalla crisi, né vogliamo finire sotto la dittatura della troika». Allora, la risposta venne trovata con l’idea del Quartet, chiamato così perché animato da quattro soggetti sociali. L’Ugtt di Sadok Belhaj era uno di questi, insieme all’Ordine degli avvocati, alla Lega per i diritti umani e anche all’organizzazione padronale Utica.

«Anche l’Utica – spiega il sindacalista – comprese allora che, senza stabilità, gli investitori avrebbero continuato a fuggire e questo sarebbe andato contro i suoi interessi. Così, ci ha messo del suo per costruire infrastrutture e creare impiego». Allora, per un mese di seguito, la piazza si fa sentire, per protestare contro gli assassinii di attivisti che non lasciano presagire nulla di buono. E alla fine impone il dialogo attraverso il consenso. E oggi? «La situazione economico-sociale è ancora molto difficile – risponde Sadok -, il codice del lavoro degli anni ’90 consente flessibilità e precarizzazione in tutti i settori. I lavoratori scioperano per difendere il potere d’acquisto di fronte all’inflazione. Il governo propone un piano di austerità e di sacrifici, ma quali sacrifici può fare un povero che non ce la fa a tirare avanti? Bisogna proporre una legge sulla fiscalità che faccia pagare chi ha di più, bisogna rinegoziare il debito con Francia e Italia per alleggerire il fardello».