C’è uno specifico modo in cui si produce e si distribuisce la ricchezza in Italia. Esso incrementa gli intrecci tra legale e illegale, tra pubblico e privato.

L’illegalità (dalla quotidiana, veniale elusione delle regole alla secolare, stabile conduzione di strutture criminali di poderosa incidenza) trova una sua sponda e un suo alimento nella fibra dell’amministrazione e delle istituzioni. Nella storia d’Italia va tenuto in adeguato conto questo combinarsi, consolidarsi e crescere, nel corpo della società e nell’impianto statuale, di legale e illegale.

Naturalmente, dal 1861, fasi diverse si succedono. Come si susseguono denunce e interventi di contrasto in una lotta che non ha, non si dica eliminato, ma nemmeno ridotto, questo fenomeno che, al massimo, è stato in certi periodi, e in una certa misura, contenuto. Sta di fatto che la storica presenza di culture e di pratiche dell’illegale hanno agito e agiscono costantemente in Italia come una componente costitutiva del pubblico, quasi una sua forza portante, espressa con una continuità ed una incidenza quali non si riscontrano in alcuna delle formazioni sociali e statuali d’Europa, dalla metà dell’Ottocento a oggi.

Nel corso degli ultimi decenni questo plesso – legale/illegale, pubblico/privato – si è consolidato, si è esteso, ne sono aumentate la penetrazione e l’influenza. Ha pervaso tutte le costellazioni dell’universo del far politica, nell’amministrazione e nella militanza, e ha allevato, per dir così, un ceto che, al di qua e prima delle appartenenze, è assimilato e omologato, partecipa delle ragioni di quel plesso. Un ingente sommovimento che, a far data dall’anno duemila, ha perseguito la progressiva obliterazione delle culture politiche, democratiche e parlamentari, maturate in Italia tra il 1940 e il 1980, intenzionato a disattendere e ‘correggere’ i principi della Carta costituzionale e a invocarne una drastica quanto sommaria revisione. Avversa le regole della democrazia parlamentare, esercita una dominanza sulla aggregazione e la condotta dei soggetti politici e getta il discredito su ogni comportamento inteso al bene della cosa pubblica riducendolo alla semplicistica e demagogica denuncia della “casta”.

Ho richiamato questo tratto peculiare della vicenda italiana perché, per quanto noto è assai di frequente sottoposto a una sorta di accantonamento: vien posto a latere, messo tra parentesi. E invece, quello speciale congiungersi del legale e dell’illegale, l’esondazione permanente del privato negli alvei del pubblico, vanno mantenuti nella loro posizione centrale e determinante. Infatti i condizionamenti che inducono nel corpo della società – dai vincoli nella produzione dei beni, all’influenza nelle culture condivise – risultano indispensabili per formulare un giudizio, per chi voglia spiegarsi ed intendere i concreti fatti politici che si svolgono sotto i nostri occhi ed i loro protagonisti.

Emblematico al proposito, in questa estate del 2019, il processo di formazione del nuovo governo, dove non ha prevalso con nettezza la responsabilità inerente alla conduzione della cosa pubblica rispetto alle convenienze che ineriscono al novero degli interessi privati (di gruppi, di cordate, di consorterie, di singoli ministri). La gran parte di coloro che sono chiamati in questi giorni ad assolvere gravosi compiti di governo mostra senza imbarazzo i limiti clamorosi delle insufficienti doti, delle qualificazioni scarse e pericolosamente inadeguate, delle culture civiche rudimentali che nebulosamente posseggono. L’Italia di questi desolati anni, non forma dirigenti politici ai quali affidare la cosa pubblica e nei quali riconoscersi.

Il plesso legale/illegale, pubblico/privato esprime, mette innanzi e premia, con vasti consensi, politicanti. Trascrivo dal Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana: «Politicante, chi si dà alla politica senza sufficiente preparazione o per trarne vantaggi personali!. La voce successiva è politicastro, ovvero: «uomo politico intrigante e di poco valore». Il Grande Dizionario registra anche le voci politichino («chi agisce con accortezza e diplomazia, riuscendo a ottenere tutto ciò che vuole»); e politicone («persona che si destreggia abilmente per raggiungere i suoi fini»).