Nel Contratto, o almeno nelle sue versioni più recenti, il capitolo intitolato all’Unione europea è stato disinnescato da ogni valenza non solo esplosiva ma anche solo di qualche efficacia. Sostanzialmente si chiede quel che, almeno in Italia, chiedono tutti, da anni e sempre inutilmente: maggior democraticità, centralità del Parlamento, diminuzione delle competenze europee, almeno quando risultino controproducenti anche in termini di efficienza.

Il suggerimento di rivedere, «insieme ai partner europei», la governance c’è, ma sommesso e comunque con un tratto di pennarello rosso sulle parole«politica monetaria unica», giusto per fugare ogni possibile sospetto di mirare al cuore dell’euro. Resta invece la richiesta di rivedere il Patto di stabilità e il Fiscal Compact, ma senza andare oltre quanto più auspicato, nel corso del tempo, da un plotone di altri leader politici.

Sin qui è come non aver scritto nulla. Qualcosa di più, ma non molto, si trova alla voce «Debito pubblico e deficit». Si tratta comunque di proposte che hanno ampia e del tutto legittimata circolazione accademica, fatte già proprie da parecchi partiti e governi. Sostanzialmente si chiede di scorporare le spese per investimenti pubblici dal conteggio del deficit, cavallo di battaglia già del governo Renzi e idea in parte accolta, anche se spesso più formalmente che sostanzialmente. La proposta, anche questa limitata a un generico «impegno ad attivarci in sede europea», di escludere i titoli di Stato di tutti i Paesi europei già acquistati dalla Bce col Quantitative Easing dal calcolo del rapporto debito/Pil sostituisce quella presente nella prima bozza di cancellare dal debito 250 miliardi. Un po’ come passare da una granata esplosiva a un petardo. Proprio quell’idea aveva fatto saltare sulle poltrone i pezzi grossi di Bruxelles e probabilmente anche l’inquilino del Colle, anche se formalmente Mattarella nega di averla mai letta pur avendo ricevuto la bozza lunedì sera.

Un passaggio rilevante si rintraccia invece nel lungo capitolo sulle riforme costituzionali dove è prevista la prevalenza della Costituzione italiana sul diritto comunitario. Difficile che i tedeschi si scandalizzino più che tanto, avendo una norma identica nella loro Carta.

Messe così le cose gli allarmati di Bruxelles, dopo aver sbirciato il topolino partorito dalla proverbiale montagna, dovrebbero rilassarsi e il temuto spread precipitare nell’abituale sonnolenza. Non è affatto detto che sia così. Il punto dolente infatti è un altro. Sono le voci di spesa, per Flat Tax, reddito di cittadinanza, pensioni di cittadinanza, opzione donna. Messe insieme e se fatte davvero renderebbero impossibile quella fedeltà ai dettati europei che, sulla carta, vengono se non apertamente confermati certo neppure denunciati. Non è un caso, in fondo, se nel suo discorso su Einaudi il capo dello Stato ha ricordato proprio le leggi che quel presidente respinse perché prive di adeguata copertura economica.