Cosa accade quando l’opera esce dai palchi del teatro e va in piazza, diventa gioco di carte, marionetta, puro passatempo popolare? E cosa succede invece quando un libretto troppo politico viene censurato e il suo potenziale politico cresce a dismisura proprio perché negato?
La mostra Opera: il palcoscenico della società, a cura della storica dell’arte Gloria Bianchino e dello studioso verdiano Giuseppe Martini (visitabile fino al 13 gennaio) occupa tutto il Palazzo del Governatore di Parma e con i suoi più di cinquecento pezzi – tra dipinti, volumi antichi, stampe, fotografie, libretti, riviste, documenti d’archivio, costumi, oggetti di scena e materiali audiovisivi e sonori – vuole essere una indagine «aperta» e a tutto campo che inserisce quel mondo teatrale al cospetto di moti, cospirazioni, eventi mondani e mutamenti storici epocali.

È UNA RASSEGNA (su progetto di allestimento scenografico a cura di Margherita Palli Rota, prodotta dal Comune di Parma e realizzata da Casa della Musica, in collaborazione con la Fondazione Teatro Regio di Parma) che non procede per trame filologiche, preferendo un percorso non rettilineo e reticolare che si snoda attraverso aree tematiche e forse più comunicative per il pubblico. Dopo essere slittata più volte a causa della pandemia, l’esposizione finalmente – in una Parma che prosegue a essere «capitale della cultura» per tutto il 2021 – incontra un momento favorevole: si dipana proprio in concomitanza con il XXI Festival Verdi nel teatro Regio.

FRA I QUADRI che testimoniano quel rapporto strettissimo con la società contemporanea, ribadito nel titolo, si possono annoverare I vespri siciliani (1846) di Francesco Hayez, arrivati a Parma in prestito dalla Galleria di arte moderna e contemporanea di Roma, ma anche – per le atmosfere che riproducono la realtà di quel gioco di specchi tra rappresentazione e autorappresentazione – Au théatre di Federico Zandomeneghi. Si va così dalle prime sale che «mostrano» come l’opera fin dai primi tempi fosse luogo per eccellenza di accoglimento di malumori e proteste, fino alle ultime in cui l’essenza operistica si «sdoppia» nei fantasmi delle voci radiofoniche o nelle figure del cinema, passando dagli abiti eleganti di contesse e i ritratti di vere e proprie star come la caleidoscopica Lina Cavalieri, che fece innamorare Parigi con le interpretazioni delle canzoni napoletane e veniva considerata bella come «Venere in terra» (definizione di D’Annunzio).