Il caso ha voluto che l’ultimo congresso di Magistratura democratica si sia tenuto a cavallo tra la presentazione delle proposte di riforma del processo penale elaborate dalla commissione Lattanzi, fatte proprie dalla ministra Cartabia, e la ratifica dell’accordo di maggioranza sulla giustizia che quelle proposte ha in buona parte lasciato cadere. Questo spiega perché il giudizio sulla riforma da parte della corrente di sinistra della magistratura sia passato da un iniziale apprezzamento durante le assise – il manifesto ne ha dato ampio resoconto – all’attuale delusione. In quel congresso di luglio Magistratura democratica ha rinnovato il suo gruppo dirigente. La nuova presidente è la giudice di Corte d’appello Cinzia Barillà, il nuovo segretario il pm dell’antimafia Stefano Musolino, entrambi da Reggio Calabria.

Cinzia Barillà. La riforma del processo penale così com’è stata approvata dalla camera la giudichiamo un compromesso al ribasso. Molte dichiarazioni di principio sono condivisibili, come l’incremento dei percorsi riparativi, l’attenzione alla tutela delle vittime, la definizione di familiare estesa ai conviventi ed alle unioni civili, ma temo resteranno astratte e inattuate perché poco supportate dalla previsione di risorse umane e professionalità nei settori della esecuzione penale esterna e dei servizi sociali. Invece troverà spietata applicazione la improcedibilità in Appello e Cassazione, condannando alla morte processi per reati non ancora estinti. Aggiungo che, di nuovo, il legislatore scarica sui magistrati i problemi che non riesce a risolvere, obbligandoci a fare continue ordinanze per definire da noi i tempi di durata dei procedimenti, così aumentando il contenzioso.

Stefano Musolino. Questa riforma è una presa d’atto che alle condizioni attuali il sistema non regge. Dunque si tenta di diminuire il flusso dei procedimenti in entrata, introducendo le priorità nell’azione penale, mentre con la improcedibilità si mette una tagliola in uscita. Siamo delusi perché conoscendo l’impostazione della ministra e avendo letto le proposte della commissione Lattanzi sui riti alternativi, in particolare l’archiviazione meritata che è sparita del tutto, ci sembrava possibile una vera svolta. Così da costringere anche la magistratura a cercare strumenti alternativi alla sanzione penale e al carcere. È una grande occasione mancata.

Stefano Musolino, segretario di Magistratura Democratica. @aleandrobiagianti

La trattativa e alla fine il compromesso la ministra ha dovuto farli non solo e non tanto con le ragioni di una parte della maggioranza, 5 Stelle e Lega, ma soprattutto con gli allarmi lanciati da alcuni magistrati molto in vista. Ricordate certamente anche voi le profezie sui mafiosi a spasso nel caso si fosse affermata l’impostazione iniziale.

Stefano Musolino. Finché regge l’idea che la risposta ai problemi del paese vada cercata sempre nell’azione penale, avremo sempre un certo numero di procuratori in vista pronti a raccontarci che senza un pm forte e una pensante sanzione penale le cose non funzionano. È un gioco in buona parte mediatico che si ripete. In questo caso in maniera persino paradossale, perché se ci sono procedimenti al riparo dagli effetti dell’improcedibilità sono proprio quelli per mafia la cui definizione è nella quasi totalità dei casi garantita dalle norme sulla custodia cautelare.

Cinzia Barillà. È la ragione per cui abbiamo contestato il doppio binario, l’idea che vadano messi in sicurezza solo alcuni reati a discapito ad esempio dei morti sul lavoro o dei disastri colposi. La ministra ha optato per questo tipo di compromesso evidentemente perché non ha cercato un’interlocuzione con chi esprime un pensiero collettivo, ma ha preferito ascoltare alcune individualità molto capaci di sollecitare le paure. Per me è la riprova che il magistrato individualista non fa il bene della magistratura. Lo so che di questi tempi si attribuiscono alle correnti tutti i mali del mondo, ma un associazionismo vitale serve anche a elaborare proposte utili e coraggiose, senza rincorrere emergenze reali o dettate dalle preoccupazioni del momento.

Stefano Musolino. Aggiungo che aver imposto l’approvazione in parlamento con la fiducia ha impedito un dibattito nel quale le preoccupazioni come la nostra sicuramente sarebbero emerse. Invece si è blindato il compromesso tra le opposte, ma in realtà convergenti richieste di Lega e 5 Stelle, espressione entrambe a mio avviso di una politica giudiziaria di destra. La riforma ha perso gran parte della sua capacità di innovazione.

Il caso Palamara ha dimostrato il legame che c’è tra la verticalizzazione degli uffici giudiziari, e dunque la spinta alla carriera tra le toghe, e le degenerazioni del correntismo. Anche il più recente caso – per intenderci – Storari-Davigo mette in luce i difetti delle procure troppo gerarchizzate?

Cinzia Barillà. Secondo me in questo caso, di nuovo, dobbiamo mettere a fuoco i rischi dell’individualismo tra i magistrati. Per la mia esperienza è difficile che un collega si trovi così solo da aver bisogno di saltare tutte le procedure, come ha fatto Storari consegnando i verbali di Amara a Davigo. Torno dunque sul ruolo sano della corrente che serve a fare rete e a far lavorare meglio il magistrato. La serenità può essere recuperata condividendo il problema con i colleghi, senza violare la riservatezza. All’eccesso di gerarchia si può reagire in maniera collettiva.

Stefano Musolino. L’individualismo è un rischio che corrono anche i più bravi, come in questo caso. Storari si è trovato a non avere più alcuna fiducia istituzionale e dunque a decidere di saltare tutti i canali ufficiali che prevedono un rimedio ai contrasti di un sostituto con il suo procuratore. Il dramma è che la sua mancanza di fiducia istituzionale ha prodotto una clamorosa perdita di fiducia per tutta la magistratura. Quanto alla gerachizzazione io penso che occorra distinguere, la famosa orizzontalità che noi sempre predichiamo è cosa diversa in un ufficio di procura rispetto all’ufficio giudicante. Il procuratore deve assumere su di sé il coordinamento, non per limitare l’indipendenza dei pm ma perché spetta a lui garantire l’esercizio omogeneo dell’azione penale.

Qual è il vostro giudizio sui sei referendum proposti dai radicali e dalla Lega? Si può distinguere tra quesito e quesito?

Stefano Musolino. Ci sono quesiti di poco impatto e di pura polemica, come quello sulle firme per la presentazione delle candidature al Csm. Quesiti che ci vedono nettamente contrari e penso soprattutto alla separazione delle carriere perché portare il pm fuori dal rapporto con la giurisdizione significa spingerlo a farlo diventare l’espressione della voglia securitaria del momento. Invece autonomia e indipendenza hanno senso in funzione della tutela dei diritti dei più deboli di fronte alle pulsioni della maggioranza. Siamo invece favorevoli e da tempo a che gli avvocati partecipino alle valutazioni di professionalità nei consigli giudiziari. Abbiamo bisogno di riempire di contenuti i fascicoli personali così da favorire valutazioni migliori quando si tratta di conferire incarichi direttivi. La pochezza di quei fascicoli ha favorito la discrezionalità e rafforzato il metodo Palamara.

Cinzia Barillà. Proprio per le cose che abbiamo detto fin qui, per la nostra denuncia dell’individualismo nella magistratura e il nostro voler difendere il valore e il ruolo dell’associazionismo, non possiamo che valutare positivamente qualunque sguardo esterno sulla magistratura. In particolare quello degli avvocati. Dirò di più, oggi abbiamo la preoccupazione opposta. E cioè che, soprattutto in alcune realtà di provincia, gli avvocati siano troppo prudenti e si sentano troppo poco liberi nel valutare i magistrati.