Avrebbero potuto essere di più. Sarebbe stato un dovere istituzionale di tutti. Una esigenza per chi continuamente ricorda con note stampa e proclami che fare l’amministratore in Calabria significa sacrificarsi. Però, quando bisogna dimostrarlo in piazza, in troppi disertano. La prima marcia nazionale “Amministratori sotto tiro” voluta da Avviso Pubblico a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, conserva comunque intatto il suo valore simbolico. Anche se i cittadini rimangono a guardare dalle finestre, più incuriositi che partecipi, più nascosti che visibili. Ma qui siamo in Calabria e qui niente è semplice. Quasi mai. Resta, però, di questa passeggiata tra gonfaloni, bandiere di Libera, fasce tricolore il ricordo di visi felici. Quelli dei ragazzi che hanno sfilato tutt’altro che in silenzio. Hanno urlato che loro non temono la mafia, ma anche che vogliono che gli si garantisca un futuro. Ecco perché vale la pena, comunque, insistere e ancora resistere. Di una nuova resistenza ha parlato Don Pino De Masi che è il parroco della piccola cittadina calabrese. “Chi marcia oggi insieme a noi, lo fa anche per coloro i quali invece hanno deciso di non partecipare. E’ vero che sono ovunque i sindaci che con la mafia flirtano, ma questo è un motivo in più per credere che chi non lo fa, è partigiano di questo tempo. L’Italia si deve rifare e saremo noi i combattenti”.

Così, da un angolo bello e profondo del Sud, tanto bistrattato e dimenticato da essersi formato leggi fuori dalla legge, che si alza forte un grido di aiuto allo Stato. A farlo dal palco, senza alcuna diplomazia, come ha notato il vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico, è stato il primo cittadino di Polistena, Michele Tripodi che ha tuonato contro il Governo reo di aver impoverito ulteriormente e in maniera drammatica le casse dei Comuni e di averle così “rese fragili anche agli occhi dei cittadini”. Qui si rischia di tornare tanto indietro da non ricordare neanche più da dove si è partiti. Così Tripodi denuncia e a fermarlo non ci riesce neanche una improvvisa pioggia battente “la mafia qui, è tornata ad essere punto di riferimento. La privatizzazione del ciclo dei rifiuti, come dell’acqua è legata ad appetiti illeciti e i danneggiamenti subiti dalle aziende che attualmente lavorano in questi ambiti, sono solo avvisaglie. Noi però abbiamo scelto, noi non restiamo muti, noi non ci leviamo il cappello”.

Questo il benvenuto a Polistena, questo è il monito di un Sindaco che non rinuncia a parlare anche della riforma costituzionale e di come quello che sta per accadere in Italia è il contrario di ciò che gli italiani auspicano. Di Costituzione ha parlato anche Don Luigi Ciotti: “Il primo e più importante testo antimafia che deve ancora trovare piena applicazione”. A cambiare, invece, deve essere la politica, l’unico strumento destinato al miglioramento. Altrimenti, avverte Don Ciotti “le mafie non moriranno mai, se non cacciamo via coloro i quali si nascondono dietro le parole giuste, ma rimangono immobilizzati in una grave malattia che si chiama potere”.

Avviso Pubblico ha chiesto impegno ai parlamentari presenti e a Rosy Bindi e a Bubbico. Ha domandato maggiore attenzione ai percorsi legislativi che dovranno garantire il lavoro svolto dagli amministratori, anche attraverso la regolazione della normativa che riguarda i beni confiscati. Auspicando la formazione di una classe dirigente responsabile e trasparente. Tutti compiti ardui, ma non impossibili. Ci credono i sindaci venuti fin qui anche da Campania, Puglia e Sicilia. Ci credono i giornalisti minacciati come Michele Albanese che combatte una strenue lotta solo per poter fare bene il suo mestiere, solo perché ha raccontato fatti che in molti preferirebbero venissero taciuti. Albanese non si stupisce della scarsa adesione, anche di quella dei cittadini “hanno paura a schierarsi. Non vedi come rimangono distanti, lo fanno perché è così che opera la ‘ndrangheta. Si muove sotto traccia e in silenzio si impone”.

Di come si muova la ‘ndrangheta non hanno dubbi neanche due ex sindaci di Lamezia Terme e di Rosarno, Gianni Speranza e Elisabetta Tripodi. Entrambi si definiscono indignati e preoccupati. Speranza dal canto suo legge “una ipocrisia calabrese che soffoca ogni buon progetto, sempre in silenzio, sempre senza appello”. Come senza possibilità alcuna hanno lasciato la giovane ex sindaca Tripodi che ci tiene a dire “noi non siamo tutti uguali, sono riusciti però nella concezione al ribasso. Il problema non è solo la mafia, ma il suo gene, che rischia di macchiare tutti”. E se le parole non fossero ancora abbastanza per comprendere il fenomeno, tocca ai numeri la sintesi. Nel 2015, sono stati 479 gli atti intimidatori e le minacce rivolte ad amministratori locali e funzionari pubblici. 40 intimidazioni al mese, una minaccia ogni 18 ore. Rispetto allo scorso anno, l’incremento in tutta Italia è stato del 33 per cento.